Yoga, gruppi di auto aiuto e ballo: quando la lotta contro il tumore è un moderno metodo sociale

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Un leggero frastornamento, la disperazione, l’ansia, il terrore in notti che passano insonni perché preda della paura, la diagnosi di tumore si riversa come un tornado, mettendoci di fronte a sentimenti e paure più grandi di noi. Come restare “a galla” in una situazione così difficile? E come comportarsi con una persona cara che si ammala? Certo molto dipende dal carattere dei singoli individui, ma sono moltissimi – la stragrande maggioranza- i pazienti ed i familiari che attraversano periodi più o meno lunghi di ansia, depressione, tristezza, paura dopo aver ricevuto la notizia di un tumore. Banale e persino poco scientifico, ma è una verità provata da molti studi e soprattutto dall’esperienza di migliaia di pazienti: il tempo che passa è un prezioso alleato. Utile a smussare gli angoli, le asperità del primo momento legate al trauma della diagnosi. In sostanza, lo shock iniziale è come una ferita nell’anima: col passare dei giorni può rimarginarsi oppure rischia di peggiorare. La regola numero uno per amici e familiari disorientati dalla malattia che cambia la vita di chi si ama, è quello di ascoltare, lasciare che il malato si esprima e non si tenga tutto dentro. Minimizzare è controproducente, molto più efficace è un atteggiamento rassicurante e d’incoraggiamento. Ma è importante anche affrontare la malattia sotto aspetti nuovi, divertenti e incoraggianti, perché la malattia ha bisogno di approcci diversi ed il moderno sociale di metodi e di approcci ne ha trovati diversi. I pazienti si sostengono a vicenda. Accade più al Nord che al Sud. Spesso sono legati ad associazioni di volontariato. Le donne sono le più disposte a condividere esperienze ed emozioni. E le attività ricreative creano legami in un momento difficile della vita. E così nasce l’aggregazione, la condivisione, il supporto reciproco nei gruppo di auto aiuto: pazienti ex pazienti oncologici o anche familiari, decidono di incontrarsi periodicamente per sostenersi reciprocamente attraverso la condivisione di emozioni, esperienze e informazioni, in una fase della vita complessa, anche tragica, sebbene sempre più spesso transitoria: il cancro. La presenza di quello che in gergo sociale è definito “facilitatore” fa la differenza. Un professionista: un’assistente sociale o uno psicologo guidano il flusso di emozioni, di vita vissuta, tutelando tutti: chi parla e chi ascolta. L’obiettivo per una patologia con un simbolico così importante non è lo sfogo, che ha la sua importanza, ma la comprensione della propria esperienza e il controllo di sé. Naturalmente c’è anche l’identificazione positiva: proiettarsi in coloro che stanno guarendo fa bene, se accade. Sono più le donne a frequentare gruppi di auto aiuto ma anche iniziative sociali che affrontano in un’ottica diversa la malattia. La ragione è culturale e antropologica: le donne sono più introspettive degli uomini, che da sempre hanno meno pratica con l’esternazione di debolezza e vulnerabilità, legate alla malattia oncologica mentre la si vive. Ma qualcosa sta cambiando: gli uomini lentamente si stanno avvicinando alle esperienze di condivisione. A latere dei gruppi di auto aiuto non è raro che le organizzazioni di volontariato o le donne che si incontrano in corsia o durante una seduta di chemioterapia organizzino attività ludico-ricreative dedicate a chi ha o ha avuto un tumore. Le più varie e naturalmente di grande impatto, certamente positivo, sulla vita di un paziente, con finalità distinte da quelle terapeutiche, sono corsi di cucina in cui le donne si ritrovano tra i fornelli a sperimentare nuove pietanze divertendosi. Ma ci sono anche corsi di yoga leggera o yoga della risata, camminate insieme nella natura. Attività che uniscono i pazienti, li portano fuori dalle camere degli ospedali, evadendo dagli aghi, dalle terapie, dal dolore che la malattia fa conoscere, ma scoprendo un mondo fatto di solidarietà, di forza anche reciproca, di nuovi spazi che se la malattia detta, il paziente ridisegna e rimodula, cercando il bello della vita nonostante tutto e immergendosi in sorrisi e nuove attività, riscoprendo abilità e nuove parti di sé. Perché la malattia non và vissuta seduti in un angolo della vita e di casa.