Vizi e tarli dell’Italia pre-moderna
Rippa: Ecco le frontiere della libertà

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Paralisi delle riforme, assenza di piani strategici per il futuro entro i nostri confini e sul fronte internazionale, intellettuali di spessore perennemente assenti, politica strattonata tra Paralisi delle riforme, assenza di piani strategici per il futuro entro i nostri confini e sul fronte internazionale, intellettuali di spessore perennemente assenti, politica strattonata tra vizi partitocratici, qualunquismo urlato e populismo improduttivo. Cronaca di una disfatta chiamata Occidente, di cui l’Italia è solo un esemplare particolarmente ammaestrato, secondo Giuseppe Rippa, voce storica del movimento dei Radicali che nella sua nuova opera “Alle frontiere della libertà” (Rubbettino) descrive un presente fragile dagli esiti imprevedibili. Tra le pagine del libro ricorre la definizione “società delle conseguenze”. Rippa, di cosa si tratta? È la nostra società costituita da soggetti schiavi delle contraddizioni che non sono in condizione di affrontare la crisi attraverso una gestione intelligente del declino. L’Italia vive da almeno trent’anni una crisi di governabilità e rappresentanza politica. Si pensi alle dicussioni che gravitano intorno alla legge elettorale: si ispirano principalmente alla riduzione delle possibilità di rappresentanza e alla circoscrizione degli stessi luoghi in cui potrebbe svilupparsi una reale riforma liberale. Quali le ragioni storico-politiche di questo panorama? Dal dopoguerra in poi, l’Italia ha fatto da frontiera allo scontro ovest-est, ad un contesto internazionale legato al bipolarismo coatto. La nostra è da sempre una democrazia condizionata dalle situazioni esterne oltre che da una storia interna piena di tortuosità e ambiguità. Una società premoderna culturalmente assistita e assistenzialista che ha scaricato tutto sul debito pubblico. E dove i gruppi dirigenti si sono formati lontani da un serio esercizio di economia liberale. Scontiamo tutto questo: oggi ci troviamo con un surplus di pubblica amministrazione ma anche con una dinamica partitocratica post-Jalta, i cui maggiori interpreti sono stati il partito comunista e quello democristiano che hanno spazzato via i riferimenti partitici laici e liberali. Gli unici momenti degni di nota sono state le lotte per i diritti civili, dall’obiezione di coscienza all’aborto, dal movimento femminile al divorzio. Cos’è cambiato rispetto al passato? Ci siamo spostati dal centralismo partitocratico ai tarli della democrazia, ai vizi partitocratici che non sottostanno nemmeno più alla mediazione dei vertici. Ora più che mai deve essere chiaro che la possibilità di costruire alternative non passa attraverso l’evocazione e la stimolazione delle tensioni di “pancia”. Attualmente l’opposizione si pone o contro “sua maestà” o su un qualunquismo poujadista senza sbocco sul piano attivo. Premesse che non favoriscono consapevolezza e partecipazione politica. E il Sud, in questo contesto, come se la cava? Male, è stato svuotato delle sue qualità dirigenziali e potrebbe diventare ricettacolo di drammatiche forze eversive antieuropeiste. E sul piano internazionale non va meglio, l’Occidente soffre di immaturità strategica e disimpegno. Quale la potenziale soluzione? Un’Internazionale dei diritti umani, una piattaforma della responsabilità contro la fascinazione autoritaria.