Violenza sulle donne, numeri e storie di una piaga sociale

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Il 25 novembre, si celebra la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne. I numeri sono da piaga sociale: tre donne su dieci hanno subito vessazioni. E in troppe ancora non denunciano. Picchiate tra le mura domestiche, violentate per strada, vittime di cyber bullismo. Donne vittime di violenze fisiche e sessuali, persecuzione e stalking. Uccise dalla violenza dei loro compagni. Una giornata, quella del 25 novembre, destinata ad essere una data simbolo per far riflettere collettivamente sulla gravità di un fenomeno che non accenna ad arrestarsi. La crescita del fenomeno è capillare in tutto lo stivale, senza distinzione tra Nord e Sud, con un’unica differenza che dal centro nord ci sono più organizzazioni di aiuto rispetto al sud, dove è ancora viva la cultura della riservatezza ad ammettere che si subisce violenza, per paura ma soprattutto per vergogna delle dicerie di paese. La pandemia non ha aiutato. Il coronavirus fuori e il proprio compagno violento dentro casa. Le restrizioni anti contagio imposte dal Governo non hanno aiutato tante donne che hanno dovuto affrontare una doppia paura e un doppio nemico. Secondo l’Istat le chiamate al numero antiviolenza 1522, durante il lockdown è stato intorno al 73%; ma il 72,8% non denuncia il reato subito. Sono invece 32 le vittime uccise da gennaio a giungo 2020. Il coronavirus non ferma la violenza sulle donne, ma cambia solo la narrazione. Raccontando di una realtà falsata: un crimine vero e proprio finisce sotto la dicitura “il dramma delle convivenza forzata”. La convivenza forzata con un uomo violento, ha peggiorato ulteriormente situazioni insostenibili, accelerando le aggressioni più frequentemente e talvolta con violenza, come avviene ad esempio durante le festività, i periodi estivi o durante i weekend. Un elemento resta costante: il tutto avviene per mano di uomini violenti.

Un fenomeno che sembra inarrestabile, eppure si può contare sul sistema legislativo che negli anni ne ha fatto una priorità, oggi, infatti, è in essere la legge n. 69/2019 ribattezzata “codice rosso”, che ha modificato il codice di procedura penale, con l’intento di favorire un percorso prioritario di trattazione di questi procedimenti a tutela delle vittime. La legge, obbliga la polizia giudiziaria a “riferire immediatamente al pubblico ministero anche in forma orale” – con l’intento di abbattere i tempi delle indagini, mentre il PM (Pubblico Ministero) dovrà trattare il caso assumendo “entro 3 giorni” informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato i fatti. Senza dubbio c’è molto da fare nella sua applicabilità soprattutto in termini di personale da impiegare, la carenza d’organico e la mole di lavoro degli uffici giudiziari si ripercuote anche in tematiche così delicate e complesse. Ma denunciare è importante, il primo passo – seppur difficile- verso un nuovo inizio. Eppure tante donne non lo fanno, quelle che invece lo fanno, spesso non sono costanti, ritirano poco dopo la loro denuncia, talvolta ritornano anche con l’uomo maltrattante, e spesso non per timore, ma per senso di amore – che di fatto è solo accudimento, sintomo di “crocerossina”.

In psicologia si parla ormai da anni di “ciclo della violenza” costituito da vere e proprie fasi che puntualmente si succedono in maniera ripetitiva. Sono state individuate da Walker e sono quattro, questo può aiutarci a capire e talvolta a comprendere perché spesso le donne ritirano la denuncia e con fatica l’opinione pubblica accetta e metabolizza questa scelta.

Ø  Fase dell’accumulo di tensione: vi è un graduale aumento della tensione caratterizzato da litigi frequenti e atteggiamenti violenti. Non vi è una durata stabilita, può perdurare anche per settimane. In questa fase possono presentarsi anche scenate di gelosia o grida.  La violenza e gli insulti agli occhi della vittima vengono percepiti sporadici, mentre l’aggressore vive sbalzi d’umore e si arrabbia per futili motivi. La vittima cerca di calmarlo e adotta comportamenti che possano non irritare il compagno. E’ proprio in questi momenti che la donna si colpevolizza.

Ø  Fase dell’aggressione: è una fase breve e sfocia nella violenza vera e propria. La vittima è anietata ed incredula, isolandosi da ciò che succede, infatti, molte donne prima di chiedere aiuto lascia passare molti giorni.

Ø  Fase del pentimento. In questa fase l’aggressore si presenta mite e pacato, pentito, servendosi di strategie: regali e promesse. La vittima si auto convince che non accadrà più, per questo motivo non chiede aiuto. E quelle che hanno denunciato, hanno iniziato a trovare equilibrio interiore e si convincono che quell’unione possa continuare.

Ø  Fase della riconciliazione. Maltrattante e maltrattato tornano a vivere insieme. L’apparente calma e il comportamento affettuoso dell’aggressore fanno credere alla vittima che sia cambiato davvero. Questa fase finisce quando dalla calma si passa nuovamente alle discussioni e vessazioni.

Per porre fine al ciclo della violenza, la vittima deve essere consapevole della sua situazione, senza motivazione e consapevolezza nessun aiuto sarà efficace.

“Qualsiasi momento del giorno o della notte è quello giusto per dire basta e porre fine a una fase della tua vita che vorresti non aver mai vissuto.”
Raunda de Penaflor