Vessazioni fiscali, populismo e il sogno liberale. Zucco: Italiani vittime di sindrome di Stoccolma

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C’è un Stato in Europa il cui fisco è divenuto, non solo per chi fa impresa ma per tutti i cittadini-contribuent che ci abitano, un vero e proprio socio occulto presente nel corso della loro vita. E’ lo Stato in cui viviamo – per nascita, scelta o necessità – dove tutti condividiamo questa amara condizione di novelli “mezzadri”. Noi italiani abbiamo infatti imparato a conoscere, sulla nostra pelle, la presenza di un fisco che pretende – e ottiene – oltre il 50% del frutto della ricchezza prodotta col nostro lavoro; grazie all’impegno e l’uso del nostro tempo, finendo per annientare troppo spesso la speranza in un futuro di crescita, in cui essere i soli protagonisti delle nostre vite. Ricordiamo sempre le fondamentali parole della sig.ra Margaret Thatcher: “Una delle grandi discussioni del nostro tempo riguarda quanto del vostro denaro debba essere preso dallo Stato e quanto voi dobbiate mantenere e spendere per la vostra famiglia. Non dimentichiamoci mai questa verità fondamentale: lo Stato non ha altre fonti di denaro, se non nel denaro che la gente ha guadagnato per sé. Se lo Stato intende spendere di più lo può fare soltanto prendendo in prestito i vostri risparmi o tassandovi di più.” Quel che qualche anno fa era solo un “fenomeno-movimento” a stelle e strisce, negli ultimi anni è diventato anche una presenza tricolore grazie al Tea Party Italia. Ne parliamo con Giacomo Zucco, suo giovane portavoce ed animatore di numerosi dibattiti, articoli (cura un blog su “Il Fatto Quotidiano”) ed eventi sempre più frequenti in ogni regione. Appassionato di teoria politica, “paleo-libertarian” convinto e “austriaco” per impostazione economica (e non solo per quella: la famiglia ha origini austriache), nel 2010 Zucco aderisce al movimento anti-tasse noto come“Tea Party”, diventandone il portavoce in Italia. Il movimento Tea Party Italia nasce dall’esperienza e dall’esempio del Tea Party Movement Statunitense che riunisce, sotto le bandiere della lotta al big government e alla socializzazione della società, milioni di persone ogni anno. Il Tea Party reclama la responsabilità individuale di ciascuno: lo stato italiano tratta i cittadini come bambini da educare, tener buoni e far finta di proteggere. Bambini a cui non è consentita nemmeno la possibilità di provare ad essere responsabili di se stessi, ma che devono essere indirizzati a servizi, ideologie e istruzione già predefinite. Chi aderisce al Tea Party preferisce invece che lo stato lo tratti da adulto, assicurandogli la libertà di scegliere scuola e sanità, pensioni e servizi in regimi competitivi ed aperti. Ancor di più chi vive e lavora nelle regioni meridionali italiane, e si definisce liberale, ha a cuore il sogno di poter vivere in un paese dove possa vigere la regola del libero mercato e non del clientelismo e dell’apparato. Partiamo dai fondamentali, parlando di moneta. Una moneta che sia mezzo di scambio e riserva di valore affidabile si regge di solito su due pilastri: uno materiale, il legame ad un bene (ad esempio un metallo prezioso), l’altro immateriale, vale a dire l’insieme di credibilità politica, efficienza economica, forza militare, protezione legale garantite dall’entità che la emette. Si parla spesso di Bitcoin, quale “nuova frontiera di libertà”: non forse è una moneta troppo virtuale per poter resistere? Diciamo che è interessante vedere come questa moneta “che non potrebbe resistere” sia oggi scambiata per circa 700 dollari ”al pezzo” su tutti i principali mercati, e questo proprio a pochi giorni di distanza dal crollo delle quotazioni a seguito del clamoroso fallimento di uno dei principali exchange, fallimento riportato su vari media con ridicolo pressapochismo e superficiale allarmismo. Il protocollo open source Bitcoin non si riduce ad essere “una moneta”: è un innovativo sistema distribuito e pseudonimo di assegnazione e trasferimento di titoli di proprietà, basato sulla crittografia asimmetrica, sulle caratteristiche delle reti informatiche peer-to-peer, sul brillante concetto di blockchain e su un ingegnoso meccanismo di incentivi economici. La “lezione” che il fallimento di MtGox ci può impartire non riguarda Bitcoin ma, all’opposto, proprio quei sistemi tradizionali, centralizzati e basati sulla fiducia, che Bitcoin vorrebbe aiutare a superare. E se questa “lezione” vale per imprese in concorrenza tra loro e soggette al severo giudizio del libero mercato, gli exchange di bitcoin, a maggior ragione vale per giganteschi enti monopolisti, gestiti da oscuri burocrati o da politicanti irresponsabili, le cui decisioni non sono vagliate dalla scelta dei consumatori ma imposte per legge, con le armi degli stati nazionali: le Banche Centrali. Quando manca una banca centrale mancano anche i controlli che essa esercita e la politica monetaria che ancora la cifra scritta sulla banconota alle quantità di beni e servizi acquistati. Cosa ne pensi? Che manchi il controllo sulla moneta da parte delle banche centrali è verissimo, ed è proprio l’obiettivo di una moneta di mercato svincolata da burocrati e politicanti, come quella che esisteva nel periodo del “free banking” e come quella che Hayek proponeva di reintrodurre. Il controllo sulla monta da parte delle banche centrali è di norma, nella grandissima maggioranza dei casi, stato utilizzato per regalare ai governi la “tassa occulta” dell’inflazione e per distorcere e drogare l’economia manipolando i tassi di interesse. La politicamonetaria, del resto, almeno dai tempi di Nixon non serve assolutamente più per “ancorare la cifra scritta sulla banconota alle quantità di beni e servizi acquistati”: la cosiddetta “valuta fiat” non è ancorata proprio a nulla, se non all’obbligo legale di utilizzarla, che ne gonfia artificialmente la domanda. Il movimento Tea Party Italia mira a fare aderire alla sua battaglia tutte le anime della galassia liberale, libertaria e conservatrice italiana. Quanto è ardua questa missione? Quali sono le 3 cose da fare e le 3 da non fare, al fine di perseguire tale scopo? La missione è di una difficoltà senza precedenti: sebbene l’unico modo di creare una massa critica attorno ad una seria battaglia contro la rapina fiscale italiana sia quello di aggregare tutte le persone impegnate in prima persona sul tema all’interno di una piattaforma trasversale single-issue, a prescindere dalla cultura politica o dalla storia personale di provenienza, in Italia la logica prevalente rischia sempre di essere quella del clan, del gruppo totalizzante che definisce l’individuo in contrapposizione con altri gruppi, anziché quella della ragionevolezza che vede in un gruppo o in un movimento un mero strumento organizzativo da usare per uno scopo e solo per quello. Detto questo, anche se la missione è di una difficoltà senza precedenti, è una missione che non possiamo non tentare di intraprendere. Le tre cose da fare sono: rimanere concentrati sul tema fiscale (e quelli immediatamente contigui); lavorare in modo costruttivo invece che eternamente lamentoso; dialogare sempre con tutti pur non concedendo fiducia cieca a nessuno. Le tre cose da non fare sono: non farsi mai prendere dalla malattia del benaltrismo fazioso (se un dato provvedimento abbassa davvero le tasse lo si deve sostenere, non criticare perché “sarebbero ben altri” i tagli da fare); non lasciarsi andare al relativismo ambiguo (se un dato provvedimento alza le tasse lo si deve contrastare, senza sconti, senza “se” e senza “ma”); non entrare nel merito di posizioni su temi non economici (ad esempio geopolitici, bioetici o storico-culturali) che, per quanto rilevanti, avrebbero su un movimento di questo tipo solo l’effett di provocare faide e polemiche eterne ed inutili, togliendo tempo ed energie all’operatività sullo scopo principale. In che modo si può scegliere efficacemente di manifestare contro l’eccessiva tassazione e promuovere la libertà di mercato in un paese come l’Italia, non propriamente di tradizione liberale? Quanto è difficile farsi comprendere da platee vaste? Ed al Sud in che modo superare le storiche diffidenze? Ovviamente in un paese sostanzialmente privo di una tradizione “liberale” (intendendo con questo termine non qualche filosofia gentiliana, ma quella linea di pensiero che parte da John Locke e codifica il diritto di proprietà che il buon senso e la ragione hanno sempre riconosciuto) è molto difficile manifestare contro le vessazioni fiscali: gli italiani sono vittime di una vera e propria sindrome di Stoccolma e adorano il loro carnefice, lo stato ipertrofico. Ma d’altra parte un paese il cui terreno culturale è poco fertile per le battaglie anti-stataliste è spesso anche un paese in cui lo statalismo arriva a fare il massimo dei danni, che finiscono poi per divenire innegabili ed evidenti a tutti. Se ci si pensa alcuni dei regimi fiscali più civili si trovano in alcuni paesi dell’ex area di influenza sovietica: aver sperimentato il totale disastro del modello statalista è spesso, dopo il collasso a cui esso inevitabilmente porta, un buon antidoto per le generazioni successive. In questo senso potremmo coltivare una sorta di paradossale ottimismo anche per l’Italia: la rapina fiscale qui è così evidente, deleteria, feroce, distruttiva, che diviene ogni giorno più facile contestarla e più difficile, per chi è in malafede o ignorante, difenderla. Nel Meridione d’Italia questo discorso è ancora più vero: proprio nei territori maggiormente indeboliti da clientelismo, assistenzialismo, interventismo statale e irresponsabilità fiscale, il fallimento del sistema e il deserto economico e sociale che ne consegue è ancora più evidente che altrove.  Il problema è casomai spiegare alle vaste platee, abituate a slogan politici semplicistici, anche i passaggi più “sottili”: spiegare che l’unico modo per tagliare davvero le tasse è tagliare la spesa statale, che l’inflazione non è un’alternativa benefica alla tassazione ma una prosecuzione della tassazione con altri mezzi, che i monopoli legali e i vincoli legislativi sono vere e proprie tasse occulte. Donne e Uomini che chiedono, anche in Italia, più libertà si può tradurre concretamente in “meno stato” nelle nostre vite? Desiderare non un governo migliore, ma un governo che governi meno: è un obiettivo realistico? E con quale orizzonte temporale? Assolutamente si: il governo migliore è quello che governa meno, come diceva Thomas Jefferson (con un aforisma poi portato alle logiche conseguenze da David Henry Thoreau). E’ un obiettivo assolutamente realistico, in un certo senso: anche se è difficile immaginare di raggiungerlo, specie nel breve periodo, abbiamo la certezza razionale ed empirica che il modello alternativo, quello statalista, porta solo al declino e alla miseria. “In Italia le tasse sono altissime perché l’evasione è altissima: se pagassero tutti pagheremmo di meno”. Questo artificio retorico che distorce la realtà dei fatti quanto è difficile da smontare? E quanto fa comodo alimentarlo ad un sistema che tassa oltre il 50% del reddito prodotto? L’artificio retorico in questione è facilissimo da smontare, facendo appello a un semplice ragionamento e alle evidenze delle serie storiche: ogni volta che il fisco recupera tasse da segmenti di mercato che tentavano di non pagarle, il governo non fa altro che aumentare le spese correnti, generando aspettative storiche che porteranno a tasse ancora maggiori. E non si tratta di una scoperta recente: già Einaudi avvisava che la frode fiscale è, al contrario del luogo comune tanto caro agli esattori, l’unico argine all’aumento delle imposte. E’ già il premio Nobel Milton Friedman ricordava che senza evasione fiscale l’economia italiana sarebbe già collassata da decenni. Ovviamente il mito viene ripetuto costantemente da chi su quelle tasse ci campa, e spesso purtroppo la logica e l’evidenza empirica sono meno ascoltate degli slogan del Befera di turno. Oggi vige ancora in Italia un’imposta di origine fascista sulla “detenzione di apparecchi atti o adattabili alla ricezione di radioaudizioni televisive nel territorio italiano”: il Canone Rai. Come possono agire i contribuenti italiani per liberarsi da questo odioso obolo, storico tesoretto per politici e partiti italiani? Ci sono diversi modi, che si possono trovare proprio…sulla pagina internet del sito Rai dedicata agli “abbonamenti” (in realtà, per l’appunto, di “abbonamento” non si tratta proprio, essendo il cosiddetto “Canone” una vera e propria imposta sul possesso dello strumento)! Il più celebre è la richiesta di “suggellamento” del proprio televisore (dietro raccomandata, un funzionario dovrebbe teoricamente presentarsi su appuntamento a casa vostra, infilare un sacco di iuta attorno al vostro televisore e imporre su di esso un sigillo di cera), seguita dalla dimostrazione di averne ceduto il possesso (per qualche strano motivo non spetta all’esattore dimostrare che voi avete un televisore, ma spetta a voi provare di averlo avuto e di non averlo più… una follia del tutto in linea con l’inversione dell’onere della prova che pervade l’intero diritto tributario italiano). Viviamo tempi in cui il populismo dilaga e vince. Anni segnati da storie di novelli Masanielli che ovviamente fanno leva anche sull’intollerabile sistema fiscale italiano: qualche mese fa abbiam rivisto “i Forconi” in piazza. Credi che finché questo Paese non premierà merito ma relazioni, non legalità ma forconi potrà invertire la rotta declinante in cui da oltre un decennio ha imboccato? Sinceramente, pur capendo e condividendo quello che in genere si vuole intendere quando le si usa, non vado matto per parole come “merito” e “legalità”. Il “merito” può essere a volte interpretato come qualcosa che politicanti e burocrati possano arbitrariamente stabilire e “premiare”, quando in realtà è semplicemente l’evolversi naturale delle interazioni volontarie tra individui liberi e pacifici…la parola “legalità” può indicare la cieca osservanza di qualunque diktat, per quanto folle o insensato, politicanti e burocrati hanno deciso di stabilire, anziché quella legge intesa come principio astratto che coincide poi con la difesa dei diritti individuali inalienabili di ognuno. Diciamo che per rallentare, arrestare e infine invertire la rotta del declino basterebbe forse un’espressione ancora più basilare: “buon senso”. Antonluca Cuoco @antonluca_cuoco


Salernitano, nato nel 1978, laureato nel 2003 in Economia Aziendale, cresciuto tra Etiopia, Svizzera e Regno Unito. Dal 1990 vive in Italia: è un “terrone 3.0″. Si occupa di marketing e comunicazione nel mondo dell’elettronica di consumo tra Italia e Spagna. Pensa che il declino del nostro paese si arresterà solo se cominceremo finalmente a premiare merito, concorrenza e legalità, al di là di inutili, quando non dannose, ideologie. È nel Direttivo di Italia Aperta, socio della Alleanza Liberaldemocratica e sostenitore dell’Istituto Bruno Leoni.