Verso il ballottaggio, quattro trappole per il futuro sindaco di Napoli

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C’è una bomba a Palazzo San Giacomo. E, dopo cinque anni di amministrazione arancione, il Comune di Napoli corre il rischio di una nuova rotta finanziaria. Derivati, bilancio di cassa, esigibilità dei crediti e attendibilità dei residui attivi e passivi, commissariamento, sono altrettanti campanelli dall’allarme che, soprattutto nella fase critica del ballottaggio per la scelta del futuro sindaco, sarebbe bene non sottovalutare. 
 
Il rischio commissariamento
Partiamo dalla fine. In consiglio, appena pochi giorni fa, è fallito l’ultimo estremo tentativo di approvare il nuovo Bilancio di previsione. A nulla è servita la diffida ad accelerare i tempi opposta dal Prefetto di Napoli Gerarda Pantalone. Mancando il parere dei sindaci revisori la seduta è saltata. Cosa succederà ora? “L’ipotesi della nomina di un commissario ad acta non è da scartare – dice Andrea Abbamonte, avvocato amministrativista -. In ogni caso non si tratterebbe di un delegato chiamato a sostituire in tutto e per tutto i nuovi organismi amministrativi ma un incaricato col preciso compito di convocare l’assemblea e, in caso di inadempienza di questa, approvare direttamente il bilancio”. Con un rischio: “Che il commissario metta in discussione i conti, valuti il preventivo un libro dei sogni o non lo giudichi allineato al Piano di bilancio triennale”.
L’eventualità condurrebbe il Comune nelle acque peggiori. Ad essa però si affianca un’altra ipotesi, decisamente meno drastica. Il Prefetto potrebbe concedere altro tempo emettendo una nuova intimazione. In questo caso si dovrebbe convocare con urgenza il Consiglio neoeletto e approvare, quasi ad occhi chiusi, l’attuale schema di Preventivo. Ma chi metterebbe un visto sul lavoro di altri? “E’ chiaro che il Bilancio di previsione – spiega Abbamonte – è un documento di programmazione nelle cui linee di spesa una nuova giunta potrebbe non riconoscersi. Ma, visto che è possibile apportare assestamenti variativi fino a settembre, non escludo che la nuova amministrazione approvi l’esistente per poi variarlo in un secondo momento. In ogni caso non sarebbe un’anomalia se si procedesse per dodicesimi, pratica comunissima fino a dieci anni fa. Di bilanci approvati a ottobre ne ho visti tantissimi”. 
 
Derivati
La minaccia più seria è rappresentata dai cosiddetti “derivati”. E’ illuminante in questo senso un articolo di Chiara Oldani raccolto dal sito Formiche. La docente di Economia monetaria dell’Università della Tuscia di Viterbo scrive: “Dall’esercizio 2012 i Comuni sono obbligati a descrivere in bilancio tutte le passività in essere, compresi gli strumenti di gestione del debito, come i contratti derivati Otc. Nel 2012 il Comune di Napoli ha in essere oltre un miliardo e mezzo di debito, sceso di circa 100 milioni nel 2014. La stessa amministrazione ha in essere circa 600milioni di euro di derivati OTC scritti su questo debito e paga interessi passivi che vanno dai 23 ai 16 milioni di euro annui (2012-2014). I contratti derivati sottoscritti dal Comune producono anche interessi attivi, incassati dal Comune, per circa 10milioni di euro annui. La gestione dei rischi finanziari di un Comune sovra indebitato come Napoli dovrebbe occupare uno spazio di tutto rilievo nella campagna elettorale; invece niente. La spiegazione di questa ignoranza sta nell’italico esercizio dello scaricabarile, che permette al politico di turno di scaricare (indietro) la responsabilità politica della malagestio, senza assumersi mai alcuna responsabilità finanziaria”.  
 
Il conto economico
L’economista Riccardo Realfonzo, già assessore al Bilancio nelle giunte Iervolino e de Magistris, abbandonate entrambe per sopraggiunti contrasti con i sindaci, intervistato dal Giornale di Milano, spiega: “Perché il Comune di Napoli se fosse un negozio o una piccola impresa dovrebbe dichiarare fallimento? Semplicemente perché ogni giorno continua a spendere quanto prevede di incassare, ma poi le riscossioni effettive sono sistematicamente molto inferiori alle previsioni di incasso”. Il docente di Fondamenti di economia politica dell’Università del Sannio parla evidentemente sulla base della propria esperienza a Palazzo San Giacomo ma anche sulla scorta dei rilievi posti dalla Corte dei Conti la quale, bocciando il rendiconto 2013, evidenziò una “grave irregolarità contabile e finanziaria” dipendente soprattutto da quattro elementi: fondi vincolati, mancata riscossione delle multe, spese fuori controllo per società partecipate e personale. Criticità e opacità che hanno fatto aumentare di 366 milioni di euro il disavanzo di quell’anno (da 702 milioni a più di un miliardo di euro) mettendo l’amministrazione nelle condizioni di dovervi porre rimedio.
 
Crediti non recuperabili
Realfonzo sostiene che il Comune “ha in pancia moltissimi crediti anche molto antichi, tra questi soprattutto multe e fitti degli immobili comunali, che sono di dubbia esigibilità”. A queste parole si aggiungono le valutazioni svolte dai revisori dei conti che nella relazione sul Rendiconto 2015 approvato il 24 maggio scorso dal consiglio comunale hanno chiesto “massima incisività sull’attività di recupero dell’evasione tributaria” ferma, a tutt’oggi, a “un risultato di appena il 4,55%”. Per non parlare della gestione dei residui attivi e passivi che indicano nel Bilancio di un Comune la quota di entrate e spese che l’ente prevede di realizzare nel corso dell’anno e che nonostante si siano concretamente manifestate non sono state riscosse o pagate dalla Tesoreria. Anche qui i revisori manifestano “la necessità, l’obbligatorietà e la tempestività di portare a completamento tutte le attività necessarie per la definizione veritiera ed attendibile dei residui medesimi con il rilascio dell’attestazione circa a loro effettiva sussistenza da parte dei Servizi competenti”. 
 
 
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