Vendere in tempi di crisi:
elogio del commerciale

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Commerciali, sales manager, account, venditori, operatori delle vendite, consulenti alle vendite, agenti commerciali, rappresentanti, sales engineer, responsabile d’area, sono figure che continuano a proliferare nonostante la crisi o forse proprio grazie Commerciali, sales manager, account, venditori, operatori delle vendite, consulenti alle vendite, agenti commerciali, rappresentanti, sales engineer, responsabile d’area, sono figure che continuano a proliferare nonostante la crisi o forse proprio grazie alle difficoltà che le aziende hanno di ampliare, fidelizzare, curare il proprio portfolio clienti. Think Thanks ha deciso quindi di inaugurare un programma di ricerca su questa figura, attraverso azioni di studio, corsi di formazione in aziende e interventi di divulgazione scientifica, finalizzati ad innalzare l’importanza sociale di queste figure. “Vincere”, “territorio di caccia”, “catturare nuovi clienti”, “conquistare nuovi mercati”, “strategie di mercato” “mirare al target” sono tutte espressioni che rimandano ad un lessico di guerra. Più che una mera metafora bellica, mai come in questo caso, il linguaggio rispecchia situazioni reali di competizione tra le aziende, dove il mantenimento della posizione diventa un imperativo categorico. La scarsità di opportunità e di risorse generata dalla crisi economica non fa altro che inasprire ulteriormente la durezza della concorrenza tra le aziende. Se poi l’obiettivo è di crescere, la conquista di quote di mercato passa inesorabilmente sulla perdita di posizioni di rendita. In questi casi, per chi attacca, la manualistica consiglia di non parlare mai male dei propri concorrenti, quanto piuttosto di difendere la propria posizione. Anche nella lotta più aspra è sempre meglio illustrare al potenziale cliente i tratti distintivi della propria azienda (e dei prodotti e/o servizi che essa produce) invece di denigrare i competitors. Per vincere il commerciale deve essere il maggior esperto al mondo di quello che vende, deve quindi conoscere tutto quello che può sull’oggetto della transazione economica che deve avviare. Fondamentale è la conoscenza mirata dei processi di produzione, tra tutte le informazioni disponibili, l’agente deve selezionare quelle che interessano all’acquirente senza ampliare troppo il messaggio. Un eccesso di informazioni, specie in fase di costruzione del contatto, può causare la perdita di interesse del potenziale cliente ma per controllare ciò che non va detto, occorre saperne molto di più di quello che abitualmente si dice. La vittoria è più semplice quando il commerciale può contare sulla copertura di tutte le posizioni che il marketing dedica alla conquista di nuovi clienti. La conoscenza del mercato in cui deve operare richiede infatti il supporto di indagini di mercato, oltre che azioni di intelligence sui singoli obiettivi di vendita. Il successo dipenderà anche dalla copertura pubblicitaria che l’azienda riuscirà a garantire alla rete. La pubblicità dovrà funzionare come le moderne flotte aeree militari, in grado di colpire in maniera chirurgica obiettivi strategici, solo che anziché distruggere ponti, nodi ferroviari e aeroportuali, caserme, dovrà abbattere tutte le barriere psicologiche e relazionali all’acquisto, precedendo e accompagnando con azioni insistenti la battaglia di terra, il corpo a corpo dei commerciali. Indispensabile, quindi, una strategia che anticipa le mosse dei concorrenti e quindi “un consiglio di guerra” composto dai vertici aziendali, proprietà inclusa, in grado di governare le decisioni di vendita al più alto livello, attraverso modelli e strumenti di controllo e di valutazione delle performance. Un po’ come i generali che giocano alla guerra, muovendo i soldatini sul plastico in scala, del campo di battaglia. Secondo la ricerca condotta da Think Thanks, l’approccio più persuasivo è quello fondato sulla “proposta di soluzioni al cliente” (P. Kotler e G. Armstrong, Principi di marketing, 2010) quindi non la celebrazione del prodotto o del servizio da vendere ma l’ascolto dei bisogni del cliente e la scelta o l’adattamento del prodotto in catalogo più rispondente. Parliamo di un venditore capace di ascolto attivo, in grado di stringere rapporti empatici con il cliente, affidabile (capace di portare a termine quanto è stato iniziato). Assolutamente da evitare comportamenti come “l’insistenza, il ritardo, l’inganno, l’incompetenza, e la disorganizzazione”. Fondamentale in quest’approccio considerare sempre la componente immateriale anche nella vendita di beni materiali, vale a dire che il rapporto con il cliente non si esaurisce mai con la chiusura del contratto o con la vendita del prodotto ma prosegue con tutti i servizi legati alla garanzia, alla sostituzione, riparazione, all’assistenza. Il venditore moderno deve essere un intermediario di valore (secondo la celebre espressione di “value merchants” utilizzata da Anderson, Kumar e Narus) in grado di confermare la proposta di valore di cui è portatrice la sua azienda e far sì che il valore possa deflagare nei contesti d’uso del cliente. Ancor più delicata è la posizione del commerciale che opera in posizioni lontane da quelle d’uso di ciò che un’impresa offre; nelle relazioni B2B, difatti, il cosiddetto key account manager offre soluzioni complesse e portafogli prodotti, che si pongono a monte delle proposte che arriveranno solo successivamente ai consumatori. Si replica anche in questa prospettiva l’approccio di guerra, benché si tratti, stavolta, di una prospettiva fortemente strategica, in cui le mappe, l’intelligence e le iniziative d’attacco sono molto più delicate e rivolte verso interazioni su un livello di più ampia copertura. Un focus sulla parola manager favorisce una più diretta comprensione della complessità di questa figura professionale, che incorpora azioni organizzative ed operative (come dimostrato da Diller già negli anni Novanta) e che riveste un ulteriore grado di difficoltà allorché rivolta al cosiddetto marketing delle professioni. In tal caso, difatti, la prevalenza di aspetti immateriali rende di più difficile costruzione e conduzione i rapporti con l’impresa cliente, tanto da spingere (in linea con i recenti scritti di Cheverton) verso la costituzione di un key account team, una sorta di impresa nell’impresa, il cui obiettivo principale è la gestione delle relazioni e non delle vendite in quanto tali. La prospettiva appena descritta consente di proiettare la strategia nel lungo termine e non guardare agli obiettivi dibreve periodo, favorendo la sopravvivenza dell’impresa. Eppure, a dispetto della rilevanza assoluta che questa posizione assume in azienda, lo status di commerciale espone chi intraprende questa carriera ad una serie di stereotipi e pregiudizi. Persiste un immaginario negativo che ritrae il venditore in valigetta, intento a vendere a tutti i costi, figura solitaria che perlustra il territorio di competenza per smerciare con ogni mezzo i prodotti in catalogo. Un immaginario negativo, ancora più accentuato nel Mezzogiorno, dove il commerciale rappresenta il punto più alto dell’imprenditorializzazione del lavoro dipendente. Il commerciale, infatti guadagna oltre il fisso, su quello che vende e se non vende, nella migliore delle ipotesi cambia azienda. Nel Sud, la pubblica amministrazione continua ad essere il principale imprenditore della classe media avvalorando una aspettativa di posto fisso che sembra essere negata del tutto, quando si intraprende la carriere dell’agente. Cambiare questa mentalità è possibile, oltre che indispensabile, specie in un contesto come quello meridionale che richiede azioni innovative ma senza mai dimenticare i fondamentali del marketing.