Veder fare, saper fare

Per tentare un approccio ai vari aspetti della violenza dilagante, in questo primo quarto di secolo in maniera più che copiosa, sono diverse le procedure che portano, in ogni modo, a risultati condivisibili. Scelta non a caso, una di esse potrebbe essere riassunta nella ormai più che nota espressione: “veder fare, saper fare”. Che essa sia una delle sintesi del problema che raggiungono al cuore le motivazioni di quel comportamento, non vi è dubbio. Per solo colore è bene premettere che ormai ogni giorno si viene a conoscenza dalle varie parti del mondo, di episodi che non è sufficiente definire cruenti. Neanche bestiali, perché gli animali hanno elaborato nei millenni un tipo di condotta che, con la necessaria prudenza, li fa convivere con l’ambiente che li ospita, e non particolarmente lontani dagli uomini. Succede ormai da anni che quanto accade per l’umanità può essere paragonato senza esitazione al comportamento degli antenati, gli uomini primitivi. Per loro era la norma il confronto fisico per impossessarsi di qualcosa di un altro gruppo di essi, lottando all’ ultimo sangue. Il più delle volte si trattava delle prede con cui sfamarsi per sopravvivere. Dopo tanti anni il fenomeno, con alterne vicende, è arrivato a oggi, sempre in crescendo per quanto riguarda il volume, nonché le occasioni per far venir fuori quella furia. È difficile trovare motivazioni diverse dalla disperazione. Essa finisce con il fare esplodere tutta la rabbia che una persona ha accumulato dentro di se. E non si tratta solo di soggeti per natura violenti, ma anche di chi, prima di andare fuori di testa, era il pacifico Signor Bianchi dell’ ultimo piano che si limitava solo a rispondere al buongiorno e alla buona sera, agli altri condomini che a malapena lo conoscevano. Questo fenomeno è in costante crescita e non fa distinzioni di classe, censo e cultura, ne tantomeno di sesso. Ciò che è sempre più preoccupante è il suo drastico aumento anche tra soggetti di età inferiore alla soglia di quella che, per convenzione, nel Paese è definita maggiore, i 18 anni. Un particolare degno di nota è che quel limite non sempre è corrispondente a ciò che si verifica in realtà. Il fenomeno che individui intorno alla trentina, i cosiddetti bamboccioni, rifiutino di andar via dalla casa dei genitori, non producendo altro che rabbia trattenuta, potrebbe essere una spiegazione. Lo svilupparsi e crescere di numero di quei nuovi killer,
molte volte non fa escludere che gli stessi non sappiano nemmeno cosa in realtà stiano facendo. Quanto appena scritto, pur essendo valido universalmente, è connotato anche di peculiarità caserecce. Il fenomeno dell’esistenza di chi ha rinunciato anche al solo tentare di giocare un qualche ruolo nella società, è prettamente italiano. Nella Ue è la regola andare a vivere da soli, uomini e donne, prima di aver trascorso una ventina di primavere. In molte altre parti del mondo la situazione non è diversa. Ciò significa che, vivendo fuori dal nucleo familiare, quei soggetti devono provvedere alle loro esigenze contando solo su se stessi. Il rischio che comporta una routine del genere è che, non trovando lavoro, anche diverso da quello a cui aspirava, anche esso lecito, quegli aspiranti marinai che hanno lasciato il porto andando incontro al mare della vita nel senso più completo del termine, potrebbero essere attratti dalle sirene della malavita. A quel punto la loro categoria di appartenenza diventerebbe quella degli scappati di casa. Il problema che si intendeva risolvere a quel punto risulta amplificato. Si ritorna in tal modo ai blocchi di partenza, dai quali, almeno in Italia, si ha la visione chiara di quanto sia articolata la problematica del lavoro. L’argomento quindi dovrà essere necessariamente approfondito. Domani.