Uscire dall’euro è possibile Draghi: basta pagare 360 MLD

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Pacta sunt servanda, ammoniva Ulpiano, cui si attribuisce l’antico brocardo: i patti sottoscritti devono essere rispettati. Certo si possono rinegoziare, finanche ritrattare se ciò è previsto, in taluni casi si possono addirittura stracciare i documenti sottoscritti: e, tuttavia, pensare di potersi liberare unilateralmente dagli obblighi assunti per contratto, senza per questo pagare pegno, è semplicemente ingenuo, se non stupido. La demagogia c’entra poco.

Né possono fuorviare, in questo senso, due recenti episodi. Primo, la conferma dell’intenzione del neo presidente Usa di cancellare gli accordi commerciali stipulati dall’amministrazione Obama con il resto del mondo; secondo, la decisione del primo ministro inglese Theresa May, il cui paese corre più di tutti in Europa, di accelerare il processo di uscita della Gran Bretagna dall’UE.

Nel caso di Donald Trump, peraltro, è appena il caso di ricordare che il Tpp (Trans Pacific Partnership) non era stato ancora ratificato dal Senato americano. Così come, a rallentare la Brexit  è intervenuta l’Alta Corte del Regno Unito che ha richiamato, infatti, la necessità preliminare del voto autorizzativo del Parlamento britannico e questo indipendentemente dalla volontà popolare espressa attraverso il referendum.

E a dirla tutta, però, non si può fare riferimento nemmeno alla Germania, nel caso pensassimo concretamente di uscire dall’euro: perché alla fine di questo stiamo parlando. E vedremo subito perché. Intanto, a proposito del trattato di Lisbona, è pure il caso di ricordare che il Parlamento tedesco, al di là della ratifica iniziale, si è comunque riservato di dire l’ultima parola su aspetti specifici. Cosa che l’Italia – animata dal sacro fuoco degli ideali condivisi con il manifesto di Ventotene – non ha pensato di fare. E vengo al punto.

E’ possibile per l’Italia uscire dall’euro? Sì. E a dirlo non è chi scrive, ovviamente, ma addirittura il presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi. Il quale, però, alla precisa domanda di due europarlamentari italiani nella sostanza ha ricordato, appunto, il brocardo di Ulpiano. E, cioè, che l’Italia – nel caso decidesse di imboccare la porta di uscita – deve prima regolare i pagamenti del Target 2.

In soldoni, i saldi del Target 2 rappresentano i debiti o i crediti vantati dalle banche commerciali e centrali di ciascuno dei 19 stati membri dell’Eurozona verso il resto dell’area. Dunque, stando ai dati al 30 novembre scorso, le banche italiane dovrebbero versare quasi 360 miliardi alle colleghe tedesche, francesi, spagnole, etc. Inutile aggiungere che la cifra – esattamente il numero uno della Bce ha parlato di 358,6 miliardi di euro – in tutta l’area è un record di cui non andare esattamente fieri. E siccome i maggiori creditori – per via del famoso surplus commerciale (ben 754,1 miliardi) – sono proprio le banche tedesche, Supermario ha inteso spegnere anche il fuoco della polemica attizzato e alimentato in settimana proprio da Berlino. Spingere l’Italia ad uscire dall’euro – ha detto – significa che le sue banche non avranno in un solo colpo tutti i 360 miliardi di euro da pagare ai creditori dell’area, per cui a catena fallisce tutto il sistema. Non solo, con la svalutazione che subirebbe la nuova lira introdotta da Roma, il peso dei debiti italiani (in euro) diverrebbe insostenibile.

E’ chiaro, ora, perché dalla strada dell’euro non si può tornare indietro?

Ovviamente, sul tappeto restano – irrisolti – tutti i problemi. A cominciare dal debito eccessivo per fronteggiare il quale Bruxelles, come si sa, chiede una manovra aggiuntiva, che però il governo di Paolo Gentiloni vorrebbe a tutti i costi evitare. E non tanto – sembrerebbe di capire – per non aggravare di nuove tasse i già appesantiti cittadini, quanto per la concomitanza e il timore di un voto anticipato a giugno. Voto che, che alla luce della sentenza della Corte costituzionale – la quale, per inciso, al sistema elettorale cosiddetto “Italicum” ha ridato nuovamente la dignità di “Porcellum” – ora è concretamente possibile. Anche perché in questo senso spingerebbe l’ex premier Matteo Renzi, il quale, secondo i “retroscenisti” dei giornali, non vedrebbe l’ora di tornare in sella.  

Da qui, appunto, lo scontro con l’Ue e, nel caso, addirittura di arrivare a subire la procedura per debito eccessivo. Il tutto mentre Eurispes ci consegna la fotografia economica sempre più drammatica del Paese. E che ridotto all’osso può sintetizzarsi così: per la metà delle famiglie i conti non quadrano; i giovani tornano dai genitori.