Uno scudo industriale per chi “rilocalizza”, Marco Gay (Giovani di Confindustria): Il Sud punti sui talenti per tornare a crescere

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Uno scudo industriale, vale a dire una temporanea riduzione delle tasse sul lavoro, per le aziende che scelgono la strada del “rimpatrio”. La ricetta contro le delocalizzazioni causate “dalle condizioni di contesto che rendono impossibile fare industria in Italia”, arriva da Marco Gay, presidente nazionale degli Under 4o di Confindustria. Che sui giovani del Sud sembra pronto a scommettere: “Sono ansiosi di dare il loro contributo al cambiamento e insieme lo daremo. Sia attraverso il nostro lavoro nelle aziende, sia attraverso la nostra voglia di essere cittadini attivi disponibili a impegnarci per scuotere questo Paese”. E’ possibile trasformare il Sud da vagone di coda a locomotiva dello sviluppo? Il nostro convegno di Santa Margherita, quest’anno, si è aperto con un palindromo realizzato in collaborazione con “Italia Camp”: uno stesso discorso aveva un significato diametralmente opposto se le frasi venivano lette dal basso verso l’alto o viceversa. Ecco, leggiamo il Sud come un palindromo: a molti questo pezzo d’Italia fa venire in mente la malaburocrazia, le inefficienze, i gap infrastrutturali. E invece? Spostiamo lo sguardo di poco e proviamo a “leggerlo” diversamente: ecco che il Sud diventa eccellenze, storia, cultura e grandi capacità imprenditoriali. “Rimettere al centro il capitale umano come motore dell’economia”: in che modo è perseguibile questo obiettivo? Il fondatore del World Economic Forum, Schwab, ha coniato il termine “talentismo” per descrivere la trasformazione storica che sta attraversando l’economia mondiale. Una nuova fase dello sviluppo globale in cui il capitale perde il ruolo di fattore produttivo più importante, a favore del talento e della creatività. È questo lo scenario nel quale ci muoviamo e nel quale l’Italia può avere un vantaggio competitivo. E le imprese italiane investono abbastanza sui giovani talenti? Noi Giovani Imprenditori nel talento dei nostri collaboratori investiamo ogni giorno. Sappiamo che le nostre imprese non sono solo la somma di macchinari, ma l’unione di persone che tendono verso un fine comune. Per questo mettiamo al centro la sfida della formazione e della stretta interazione tra scuola e mondo produttivo per convogliare il talento dei nostri ragazzi verso la creazione di imprese. Chiediamo al Governo di continuare a lavorare su questo fronte, seguendo la strada intrapresa con il decreto Poletti. Ma sappiamo anche che la rivoluzione di un sistema formativo che deve uscire da una dimensione puramente teorica e dialogare con il sistema produttivo passa anche dalla nostra disponibilità. Da qui nasce l’idea dell’”invasione pacifica delle scuole” che porteremo avanti nei prossimi mesi. In occasione del convegno di Santa Margherita Ligure lei ha posto il tema delle delocalizzazioni, evocando la necessità di uno scudo industriale per chi rientra in patria. Non è lo Stato a rendere in Italia le condizioni insostenibili per chi vuole fare impresa? Innanzitutto è importante non confondere la delocalizzazione con l’internazionalizzazione o la multilocalizzazione produttiva. Le ultime due sono leve essenziali di crescita che Confindustria sostiene e incentiva, perché spesso sono proprio la produzione o le joint venture all’estero a creare gli utili da rinvestire negli stabilimenti italiani. Per quanto riguarda la delocalizzazione, invece, abbiamo denunciato come molto spesso sia stata “forzata” dall’alto costo del lavoro, dall’elevata tassazione e dalle lentezze burocratiche dell’Italia, diventando così l’unica alternativa al chiudere. Per questo a Santa Margherita abbiamo parlato prima di tutto della condizione drammatica in cui si trovano le imprese che rischiano di chiudere cancellando una storia imprenditoriale che magari dura da generazioni, solo perché le condizioni di contesto rendono impossibile fare industria in Italia. È per queste aziende che abbiamo immaginato uno “scudo industriale”. In cosa dovrebbe consistere questo scudo industriale? In una temporanea riduzione delle tasse sul lavoro per le assunzioni frutto di rimpatri. Una misura che, insieme a investimenti in ricerca e formazione del capitale umano, specializzazione nei prodotti ad altissimo valore aggiunto ed efficienza energetica, potrebbe creare un secondo miracolo economico. Non rischia di sembrare un provvedimento dal sapore “protezionistico”? Non c’è niente di protezionistico in tutto ciò, ma solo una visione lungimirante. Non credo che si possa infatti definire “protezione” quella che il presidente Obama ha offerto alle imprese americane per incentivarne il rimpatrio. La rilocalizzazione della manifattura statunitense, quel “ritorno al manifatturiero” che ha segnato la ripresa degli Stati Uniti dal 2009, sta avvenendo grazie a un costo dell’energia molto più basso di quello europeo per lo sfruttamento dello shale gas, agli investimenti in ricerca e sviluppo, alle agevolazioni fiscali. Esattamente quello che come Giovani Imprenditori abbiamo chiesto che avvenga anche da noi. Esiste una ricetta per la competitività delle imprese? Oggi è sempre più chiaro che le economie avanzate possono restare competitive nel mercato globale solo attraverso una stretta integrazione tra manifattura e servizi. Il reshoring dimostra che la convenienza della delocalizzazione non è più scontata: la qualità del capitale umano, la logistica più semplice, il “branding” di un prodotto 100% italiano, sono sempre più un vantaggio competitivo. Ci sono miliardi di nuovi consumatori affamati del “brand” Italia, dobbiamo cogliere questa opportunità per costruire il nuovo “umanesimo industriale” italiano.


Antonluca Cuoco Salernitano, nato nel 1978, laureato nel 2003 in Economia Aziendale, cresciuto tra Etiopia, Svizzera e Regno Unito. Dal 1990 vive in Italia: è un “terrone 3.0″. Si occupa di marketing e comunicazione nel mondo dell’elettronica di consumo tra Italia e Spagna. Pensa che il declino del nostro paese si arresterà solo se cominceremo finalmente a premiare merito, concorrenza e legalità, al di là di inutili, quando non dannose, ideologie. È nel Direttivo di Italia Aperta, socio della Alleanza Liberaldemocratica e sostenitore dell’Istituto Bruno Leoni. Twitter @antonluca_cuoco