Una serie di prime volte, Calasso guarda ai suoi stessi libri

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Milano, 24 giu. (askanews) – Da una parte c’è la vita, dall’altra ci sono i libri. Ci sono ragionevoli argomentazioni che sostengono che le due cose, in ultima analisi, tendano ad escludersi, che farle veramente coesistere sia impossibile. Ci sono però dei luoghi dove questo dilemma caro a Pirandello (“O la vivi, o la scrivi”) si supera in qualcosa di più grande, in una sentimento panico che abbraccia le diverse dimensioni e va oltre. Uno di questi luoghi, a loro modo mitologici (e l’aggettivo non è assolutamente casuale) sono i libri di Roberto Calasso, l’editore di Adelphi che è stato un autore meraviglioso e unico. Così potente da avere creato un genere con le sue opere, al quale ancora non siamo stati capaci di dare un nome preciso. E dunque, in questa vertigine del possibile, tre anni dopo la sua morte esce un nuovo libro, “Opera senza nome”, nel quale Calasso scrive dei suoi libri, come se fossero un suo libro e, al tempo stesso, come se quelle storia non le avesse scritte lui, ma semplicemente “fossero”. È umano pensare, nel chiuso della propria biblioteca, quale che sia, che Calasso possa scrivere anche dall’aldilà, ma non importa, perché importano i libri che abbiamo qui, che questo anomalo manualetto rimette in fila, mischiandoli, sovrapponendoli, mostrandone i collegamenti e i legami. Provando a ragionare sul modo in cui uno scrittore che sapeva quasi tutto ha tentato di scrivere qualcosa che prima non c’era. Usando il mito, gli altri libri e sapendo bene che una divinità indiana e Franz Kafka sono figure che stanno sullo stesso piano filosofico.

“Una parola che appiana tutto: letteratura”. Scrive Calasso, che poi si adagia nelle nebbie che sono tipiche dei grandi libri. “Che cosa sia la letteratura è meglio non definire con troppa insistenza. Forse non è più che una vibrazione, avvertibile nei teti più disparati”. Una vibrazione che sta anche nella sua frase e che unisce i testi vedici alla fisica quantistica, luoghi dove sta il tutto, ma non trovano posto le definizioni stringenti, definitive, autoritarie se volete. Come ampiamente documentato, Calasso (tanto da editore quanto da autore) ha praticato una forma di conoscenza che ha sempre attinto alla non-conoscenza, che ha cercato nella nube della contemplazione le risposte più profonde, e per questo è una conoscenza profondamente letteraria, che parte dall’antico, dall’Età degli dei potrebbe dire Vico, per arrivare al moderno, ma con lo stesso atteggiamento gnostico, con la stessa duplice incertezza, che nelle figure di Talleyrand, Baudelaire e Kafka (nella molteplice veste di persone reali, autori e personaggi) si continua a incontrare. “Che si tratti della letteratura, della superstizione, della prostituzione o del sacrificio, Baudelaire viene ogni volta in soccorso, come la voce che ha già detto, quasi di sfuggita, l’essenziale che occorre dire”, scrive ancora Calasso.

A qualcuno potrebbe forse sembrare che questo parlare dei propri libri sia un atto di autocelebrazione, se non di “superbia intellettuale”. In realtà è l’opposto, è un’ammissione di tutto quello che non si sa sui propri libri, dei quali Calasso sa solo “certe cose”, è un guardarsi da lontanissimo e come se non ci si conoscesse, seguendo le tracce di pensieri che hanno portato a certe parole, che poi hanno preso la loro via nel mondo e sono diventati altro, sono diventati, appunto, letteratura. Un’unica grande opera in undici volumi che cercavano di dare forma a un’idea di prima volta. Qualcosa di unico, che non c’era prima. Ambizioso certo, altissimo come obiettivo. Ma non va dimenticato che Calasso è anche l’editore di Milan Kundera e del suo romanzo più famoso, “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, tutto costruito intorno alla massima filosofica che “Una volta è nessuna volta”. E se questa opera senza nome è la somma di undici singole volte possiamo anche immaginarla come la somma di undici niente, quindi niente a sua volta, pulviscolo, nebbia, nubi dentro le quali abbiamo la possibilità di scivolare e perderci veramente, fingendo che non importi, fingendo che non sia nulla. Ed essere liberi, essere vivi, essere semplicemente. Senza bisogno di nomi, categorie, titoli o definizioni. Leggeri come solo le cose realmente importanti possono essere, brillanti come la luce delle costellazioni in certe notti limpide. (Leonardo Merlini)