Come era nell’aria già da tempo, ieri c’è stato lo sciopero del settore trasporti, proclamato dalle maggiori sigle sindacali. La motivazione reale che le stesse adducono è che si ritengono emarginate da parte del Governo dai processi decisionali in via di elaborazione presso i ministeri competenti. A Roma, in concomitanza con lo sciopero appena accennato, i lavoratori dell’Ilva hanno messo in atto un corteo di protesta contro le ipotesi di risoluzione dei problemi di quell’ acciaieria che il Ministero delle imprese e del made in Italy sta vagliando ormai da un po’. Sacrosanto il diritto di sciopero e di mettere in atto forme analoghe di protesta, restando sempre di grande discrezionalità la scelta di come e quando “mandarli in onda”. Senza nessun intento polemico, è credibile che alimentare il malcontento di questi tempi, con il rischio più che concreto che anche nel Paese si sarebbero potuti manifestare episodi di violenza- si legga attentati – non è stato certo il massimo del tempismo. Un’ adunata di quelle proporzioni per i terroristi di Hamas sarebbe potuta diventare, va da sé all’insaputa degli organizzatori, un efficace strumento per distogliere l’attenzione nei loro confronti da parte delle forze dell’ordine.
Un venerdì a tinte fosche, anche per l’Italia
Tutto è bene quel che finisce bene, quindi oggi è il giorno dopo, festivo per molti, che si presta bene a dare agli italiani il tempo necessario per approfondire gli argomenti specifici del Paese. Per il resto sono bombardati ormai non stop dalle notizie che arrivano dai fronti di guerra senza soluzione di continuità. Se le organizzazioni dei lavoratori non sono soddisfatte per i contenuti del Def, così come aggiornato pochi giorni fa dalla Nadef, altrettanto le associazioni datoriali non stanno facendo salti di gioia. L’industria italiana, quella manifatturiera soprattutto, insieme all’agricoltura industrializzata, per produzione di valore tengono in piedi il Paese.
Nello stesso tempo ricevono apprezzamenti non di facciata ma sostenuti da quote di export che, nonostante il periodo che l’intera comunità internazionale sta vivendo, resiste con risultati ancora accettabili sulle sue posizioni. Oltre agli incentivi settoriali messi in atto dalla EU, a livello nazionale non è stato previsto niente di rilevante che possa fornire lo spunto per nuovi investimenti, sia da parte di operatori nazionali che esteri. Quegli stessi che, nel particolare frangente, già sono spinti a mettere in attesa programmi di investimento dal pericolo nascosto – ma non tanto – di attentati messi in atto dalle cosiddette cellule dormienti riferibili a Hamas Tale tipo di riserva è, con buona approssimazione, quella che ha maggior peso sul processo decisionale degli imprenditori. Devono essere rimossi in tempi ragionevoli gli ostacoli che forniscono motivazioni perché possano resistere le preclusioni accennate a investire da parte degli imprenditori. Nel caso contrario, anche ipotizzando che la guerra, così come si sta combattendo ora, non si allarghi oltre i territori che attualmente fanno a essa da teatro, per l’Europa tutta si accentuerà l’affanno perché i sistemi produttivi possano sopravvivere. Se non sarà così, il maggior numero di vittime che si conterà andrà cercato tra i posti di lavoro. Di questi tempi sarebbe difficile distinguerle da quelle in carne e ossa.