Un nuovo modello di sviluppo: l’impresa generativa e sostenibile. Parla Adolfo Bottazzo

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in foto Adolfo Bottazzo, vice presidente di Confindustria Caserta con delega al Territorio e alla Economia circolare

di Claudio d’Aquino

Nasce negli Stati Uniti negli anni Settanta, grazie agli studi della fondazione Ellen Mc Arthur. L’Economia circolare è un principio in base al quale i sistemi economici sono in grado di potersi rigenerare autonomamente. Un modello di business progettato per riutilizzare i materiali in cicli produttivi successivi, riducendo al minimo gli sprechi. “Gli studiosi degli scenari evolutivi dell’economia la chiamano transizione industriale, dove l’impresa diviene sempre più protagonista in un mondo in cui contenere gli sprechi è diventato cruciale e la crescita dei consumi può avvenire solo nel solco di una economia sostenibile”. Parla Adolfo Bottazzo, manager esperto del settore alimentare, amministratore unico e direttore di Ima, azienda italiana produttrice di latte e yogurt con stabilimento a Pignataro Maggiore. Bottazzo è vice presidente di Confindustria Caserta con delega al Territorio e alla Economia circolare, argomento quest’ultimo su cui ha si è prodotto, in un recente convengo presso il Dipartimento di Economia della Università Vanvitelli. “La formula ideale – continua Bottazzo – è concepire l’azienda come un organismo vivente”. Il Denaro lo ha intervistato.

Dottor Bottazzo, che cosa significa pensare l’azienda come un sistema simile a una struttura vivente?

Significa orientarsi ad una visione in cui le fasi produttive sono in grado di autoalimentarsi, come in un circuito virtuoso. Materia Prima, progettazione, produzione, distribuzione, consumo, raccolta e riciclo non sono tappe di un percorso univettoriale, ma un ciclo che prevede il ritorno alla materia prima.

Si parla tanto di business eco sostenibile. Ma è una battaglia di principio o è concretamente possibile?
E’ realizzabile certo, come obiettivo concreto e come filosofia della transizione economica. Solo dematerializzando l’economia e favorendo la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica sarà possibile produrre le risorse necessarie per promuovere l’innovazione e combattere la povertà, restano al tempo stesso ambientalmente sostenibili. L’economia circolare appare come una via obbligata.

E in Italia?
Il nostro Paese all’avanguardia in questo campo. Lo dice il primo rapporto sull’economia circolare realizzato nel 2019 dall’ENEA, in collaborazione con il Circular Economic Network…

Che cosa rilevano queste analisi?

Che ci sono aziende che già da un decennio, prima di altre concorrenti europee, hanno fondato e sviluppato il proprio business sulla ecosostenibilità. Penso alla Rotoprint che rigenera imballaggi destinati al macero. Oppure ad app pioniere nel settore quali la TooGoodToGo, in grado di fornire pasti a metà prezzo derivanti da esuberi nelle catene di supermercati o ristoranti.

Le aziende saranno indotte ad intraprendere politiche di sostenibilità anche per l’esigenza di adeguarsi a regole sempre più stringenti. Non è così?
Certo. Non bisogna infatti dimenticare che la direttiva europea in materia di green economy. Entrata in vigore il 4 luglio 2018, dovrà essere ratificata dalle nazioni entro il 5 luglio 2020. Prevede tra le varie misure che entro il 2025 le aziende siano in grado di produrre con almeno il 65 per cento di imballaggi industriali completamente riciclabili. Percentuale che diventa del 70 per cento nel 2030.

Stiamo entrando in una fase nuova, in cui il rendimento del capitale investito, il business, il profitto non sono più gli unici parametri di riferimento…

Le aziende in futuro saranno sempre più destinate a orientarsi e certificarsi con il marchio BCorp, ossia Benefit Corporation. Paradigma inglese che vuole i sistemi aziendali orientati certamente al “business” ma anche e soprattutto ai “benefit” sulla società.

Ma è possibile anche in Italia coniugare etica e valore economico?
Massimo Folador in “Storie di ordinaria economia” parte proprio da questo interrogativo. E la risposta è un chiaro sì. Se però i sistemi aziendali orienteranno la mission verso aspetti umani (responsabilità verso il personale dipendente), relazionali (responsabilità verso clienti e fornitori) e soprattutto fiduciari (responsabilità sociale).

Può fornire qualche dato relativo al suo settore, il food?
Beh, la Nielsen ci informa che nell’ultimo anno i prodotti eco sostenibili registrano un più 3,7 per cento, che le aziende orientate alla BCorp sono aumentate del 14 per cento. E che le aziende che effettuano scelte ecosostenibili di diversa natura crescono del 20 per cento.

Lei è vice presidente di Confindustria Caserta. Può darci uno spaccato della sua realtà dal punto di vista della transizione alla economia circolare?
Siamo ancora ai primi passi, ma è la sfida che attende nei prossimi anni la classe dirigente di questo territorio. Gli esempi positivi non mancano, alcuni sono diventati già delle best practice…

Può farci un esempio?
Penso alla Ferrarelle di Riardo che ha investito pesantemente nel riciclo delle bottiglie pet che da sempre rappresentano il pack per antonomasia dell’azienda. Non solo riciclo delle proprie bottiglie ma anche quelle di terzi; il direttore Cerbone, in un’intervista recente ha addirittura ipotizzato che nel corso degli anni l’azienda potrebbe vantare un credito di impatto ambientale, tra le bottiglie immesse sul mercato e quelle riciclate. Ma a me piace ricordare anche i piccoli esempi virtuosi della provincia casertana.

Prego, ce ne parli.
Il Centro Fernandes di Castel Volturno, per esempio. Ricicla abiti destinati al macero apportando migliorie prima di essere lavati e rivenduti; un laboratorio artigianale in cui gli immigrati presenti nell’area, possono tra l’altro imparare un mestiere.

E la Ima, ossia l’azienda di cui è amministratore delegato?
La nostra ferma volontà è quella di diventare un’azienda ad impatto zero. Quindi stiamo riorganizzando i processi produttivi, sia sul fronte della gestione di scarti e rifiuti sia sul packaging.

Un processo ancora da avviare?
No. Abbiamo cominciato tre anni fa, stringendo un accordo con una ditta del Veneto cui destiniamo i prodotti non venduti che rientrano dal mercato: dopo un processo di trasformazione quei prodotti diventano la base per realizzare mangimi destinati alla zootecnia. Inoltre sul fronte packaging stiamo utilizzando materiali la cui componente di riciclo tende a prevalere: sostituendo il pet con il R.pet, inserendo delle referenze di latte in vetro ed utilizzando carta e cartoni riciclati.