A cura di Cristian Fuschetto
Ritrovati due secoli e mezzo fa, sepolti per quasi duemila anni, i 450 rotoli della Villa dei Papiri smettono finalmente di essere un enigma. In realtà, tra rotoli interi e frammenti, i papiri di quella che si ipotizza essere la villa appartenuta alla famiglia di Lucio Calpurnio Pisone, suocero di Cesare, sono 1.859, alcuni dei quali donati agli inizi dell’Ottocento da Ferdinando IV di Borbone a Napoleone e a Giorgio IV. I 450 superstiti sono rotoli che devono ancora essere aperti e, paradossi della scienza, saranno finalmente leggibili proprio perché rimarranno chiusi. Nero fumo su nero fumo, vale a dire inchiostro su papiri carbonizzati, nessuna tecnica era stata finora in grado di rilevare il contrasto tra le lettere e le fibre di papiro ridotte in carbone. Un ostacolo superato da un team internazionale composto da ricercatori del Crn, del Centro nazionale delle ricerche scientifiche francese (Cnrs), dell’università tedesca Ludwig Maximilian e della struttura europea per la luce di sincrotrone di Grenoble. In che modo? Sottoponendo i rotoli a una tomografia a raggi X a contrasto di fase, metodo efficace per distinguere materiali sfruttando la diversa velocità con cui la luce, o altra radiazione, si propaga attraverso un materiale. In pratica, poiché l’inchiostro non penetra del tutto nelle fibre vegetali del papiro, forma un leggero spessore sulla superficie del foglio e qui interviene il fascio laser. “I bordi delle lettere deviano la luce e diventano leggibili nelle immagini ottenute”, spiega il coordinatore della ricerca Vito Mocella, ricercatore dell’Istituto per la Microelettronica e Microsistemi (Imm) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) di Napoli. La tecnica adottata dal team, e illustrata sulla prestigiosa Nature Communication, promette di superare un’empasse durata secoli. Non solo, promette di far luce sui misteri di molti altri reperti essenziali eppure in condizioni critiche della storia umana, come manoscritti medievali e le celebri tavolette dei Maya. “Si tratta di suggerimenti e indicazioni – ammette il ricercatore – che in questi giorni mi stanno arrivando da tutto il mondo. Dovremmo approfondire caso per caso, certo le condizioni di manoscritti medievali o delle tavolette dei Maya sono senz’altro meno compromesse di quelle dei papiri di Ercolano e quindi, in teoria, dovrebbe essere meno complesso decifrarne il contenuto”. Tornando alla Villa, tutti i tentativi di studiare i rotoli compiuti finora hanno comportato il deterioramento se non la distruzione dei preziosissimi reperti, unici testimoni di una biblioteca di età classica arrivata fino a noi. Il primo tentativo di carpirne i segreti risale al 1754, quando venne usata la cosiddetta “macchina di piaggio” che srotolava i papiri su vesciche di animali usate come supporti. Successivamente fu usata la “scorzatura” che “grattava” i fogli strato dopo strato via via che si copiava il contenuto, fino agli agli ‘80 del 1900, quando i papiri vennero srotolati, rimuovendo i pezzi con gelatina e acido, per poi essere fotografati e quindi ricomposti come in un puzzle. Con la tomografia a raggi X a contrasto di fase gli studiosi potranno ora decifrare senza timore il contenuto dei papiri conservati nella Biblioteca Nazionale di Napoli. Sempre che ci siano i finanziamenti. Il progetto guidato da Mocella ha mostrato che i papiri possono essere letti, leggerli tutti è un’altra cosa. “Noi in primavera condurremo altri test e svilupperemo nuovi algoritmi per l’analisi dei dati”. Intanto, la ricerca ha permesso di scoprire anche la “ricetta” dell’inchiostro usato nei papiri: acqua, gomma arabica e nero fumo. Il che è essenziale per migliorare la tecnica e calibrare l’energia del fascio di luce da usare.