Un’ esposizione, un solo quadro. Meglio se con interpretazione

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Un quadro di Picasso a Napoli, non una serigrafia, non un multiplo, ma un olio su tela del1923, per giunta di quel fantastico periodo rosa e blu in cui Pablo dipinse gli artisti del circo, e con essi le pene dell’età del progresso. Perché “la vita è come un circo a luci spente”. Un’emozione che comincia quando si decide di andare a vederlo. Il tragitto per raggiungere l’esposizione a Palazzo Zevallos di Stigliano è facilitato dalla funicolare con i suoi orari ritmicamente scanditi: una corsa senza soste intermedie, due tragitti a tappe. Ecco una delle poche certezze nel travagliato rapporto tra i napoletani ed il trasporto pubblico. Ingresso libero. Giusto, giustissimo si può pensare: l’arte è di tutti e tutti devono goderne. Certamente, quando si hanno conoscenze strutturate per cogliere da soli tutto quello che l’opera può trasmettere. La piccola folla di visitatori segue speranzosa le indicazioni fornite dal personale preposto. Le luci sono basse e si percepisce l’attesa. Ed ecco, dietro il pannello scuro, un unico spot focalizza l’attenzione: ecco Arlecchino. La piccola folla di visitatori ha un momento di esitazione dinanzi alla tela e poi, come guidata da una mano magica, si sposta di qualche metro e si affolla davanti al cartellone sul quale c’è la storia di questo dipinto. E’ uno spettacolo surreale: l’opera resta sola nel suo splendore e i visitatori si accalcano davanti all’anonimo cartello con le spiegazioni! L’opera di Picasso, il suo incommensurabile valore artistico e il suo significato riscuotono presso il visitatore medio minor entusiasmo e attenzione di un cartellone esplicativo. Sapete perché? Perché non c’era emozione, non c’era atmosfera, mancava l’interpretazione. I visitatori per provare un po’ di condivisione, un emozione di fronte al quadro, andavano in cerca anche di spiegazioni rese in forma scientifica, asettica, senz’anima. Così dev’essere un cartellone, così non dovrebbe essere una mostra, specie se di una sola opera. A Londra l’iniziativa “il quadro del mese” messa in atto dalla National Gallery ha un successo strepitoso. Nel 2011 il Narciso, si divise con mostre flash tra Montenegro (20mila biglietti in 13 giorni) e Cuba, dove ad aspettarlo, erano in 60mila. A Gerusalemme l’Annunciazione di Botticelli, arrivata dagli Uffizi su un cargo ebbe un successo da star hollywoodiana. La verità è che il pubblico ha bisogno d’icone da cui partire, l’opera cattura gli sguardi ma l’attenzione deve essere fissata dalle modalità d’esposizione, dall’interpretazione che dell’opera si offre e dalle emozioni che il visitatore prova.

La buona comunicazione porta il visitatore all’opera, ma egli non può, non deve essere abbandonato davanti all’opera senza un emozione folgorante che o spinga a rimanere davanti all’opera sopraffatto dalla bellezza e dalle emozioni. Non tutti hanno la cultura necessaria per comprendere. Tutti hanno la sensibilità per reagire ai giusti stimoli e avvicinarsi all’arte. E allora suoni, odori, luci e una serie d’imput che facciano capire tecnica colori e significato, e facciano volare dentro se stessi. La veste di quest’Arlecchino, che non è da Arlecchino quanto invece da Pierrot, quegli occhi liquidi, quasi sognanti mentre scrutano la propria immagine allo specchio possono tenere il visitatore legato all’immagine. Specchio specchio delle mie brame….cosa racconta lo specchio ad Arlecchino? Un evento così importante come l’esposizione di un olio su tela di Picasso, una cornice espositiva, che trasuda storia da ogni centimetro non possono accettare turisti che passano, guardano e vanno oltre, magari a leggere la spiegazione del quadro su un cartellone. Perché il mondo dei beni culturali pubblici italiani non è in grado né di proporre operazioni vincenti dal punto di vista del marketing, o di partecipare a operazioni di alto valore scientifico (pensate alle collaborazioni tra Louvre, Prado, Kunsthistorisches Museum di Vienna su Raffaello o su Velázquez)? Perché a Bologna, un quadro di Raffaello come l’Estasi di Santa Cecilia ha portato alla Pinacoteca Nazionale poco più di 12mila visitatori paganti e un introito di 45mila euro lordi nell’anno 2012? A gennaio, a Helsinki c’è stata la mostra Ote (only one work) all’Emma (Espoo museum modern art) La tela era Devil’s dancing, opera dell’artista finlandese Tyko Sallinem realizzata nel 1919: i risultati sono profondamente diversi da quelli che riscontriamo su terra patria. Contrariamente a quanto succede di norma, nell’esposizione di un’unica opera lo spettatore lontano dall’essere invaso da disegni, cornici e tele, trova un suo spazio per cercare un’interazione diversa con il lavoro. Gli studenti che hanno curato la mostra di Helsinki con piccoli accorgimenti sono riusciti a trattenere spiegare, provocare emozioni. Non sono parole, per molti, purtroppo sempre altri, sono fatti.