Un’economista “prestata” al biologico. Filomena Merola (Anabio): Cultura e formazione prima di tutto

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Anni di studio a Milano per poi tornare nella propria terra, il Cilento, ad occuparsi di agricoltura biologica. È la storia di Filomena Merola, giovane imprenditrice cilentana di Montano Antilia, in provincia di Salerno, neo presidente di Anabio Campania, organismo della Confederazione Italiana degli Agricoltori (CIA) – sezione campana – dedicata all’agricoltura biologica e biodinamica. “Ho sempre desiderato – racconta – una volta terminati i miei studi di economia, tornare nella mia terra per fare impresa in campo agricolo. Molti sono rimasti spaesati dalla mia scelta, non è stato facile portare nelle nostre terre una concezione diversa dall’agricoltura”. Merola è titolare di un’impresa zootecnica ad indirizzo caprino a Celle di Bulgheria, nel Cilento, che produce formaggi e confetture di frutti spontanei della macchia mediterranea.

Presidente Merola, come nasce l’idea di dedicarsi a questo settore?
Nonostante i miei studi di Economia portassero ad altri sbocchi, ho sempre coltivato il desiderio di sfruttare le enormi potenzialità della mia terra. All’inizio pensavo di impegnarmi nell’agriturismo, poi è nata l’occasione di rilevare un appezzamento di terreno incolto e da lì è nata l’idea di concentrarsi sull’allevamento di capra, con produzione di latte e formaggi.

Una scelta “controcorrente”.
Devo dire che gli inizi non sono stati affatto semplici. La mia scelta è stata fraintesa, da noi esiste ancora una concezione dell’agricoltura non ancora aziendale. È triste vedere tanti campi incolti, si intende la coltivazione quasi esclusivamente in termini di autoconsumo. Una vera stranezza in una regione che si regge moltissimo sull’agroalimentare.

Cos’è che manca?
La cultura innanzitutto. Qui si pensa a questo lavoro come a un lavoro di serie B, si punta a diventare professionisti o al posto fisso. Inoltre non c’è adeguata formazione. Non ci sono adeguati percorsi formativi per chi vuole approcciare il settore. Io stessa ho incontrato dure difficoltà, dovendo imparare tutto sul campo dagli agricoltori più esperti.

Come si potrebbe ridurre questo gap?
Penso soprattutto al lavoro con le università, che possono aiutarci moltissimo nella ricerca. Senza di esse tutto diventerebbe più difficile. Inoltre è necessario far conoscere molto di più questo settore, partendo per esempio dalle scuole.

I dati sono incoraggianti. Il biologico è uno dei pochi settori in espansione in un momento generale di crisi.
Il bio ha il vantaggio di essere qualcosa di innovativo. È presumibile che grosse quote di mercato si spostino qui, dove si registra il segno positivo. Il recente annuncio dei primi bandi Psr della Regione sono un’occasione importantissima di crescita per tutti noi. Bisognerà sfruttarla al massimo, cercando di trovare un comune denominatore tra le varie realtà aziendali.

Come si potrà attuare il passaggio dal mercato di nicchia al cosiddetto Biologico 3.0?
Innanzitutto bisogna tener presente che uno dei problemi principali, l’alto prezzo dei prodotti rispetto a quelli normali, è dovuto a questioni di qualità di cui il consumatore deve essere informato. Anche in questa direzione va l’opera di sensibilizzazione di cui parlavo in precedenza. Inoltre, l’ingresso di aziende convenzionali e di nuove imprese nel settore favorirà certamente una diffusione di massa dei nostri prodotti a prezzi più convenienti.

Presidente, come è stato detto: il futuro della Campania è bio?
Qui abbiamo tutto: aria buona, acqua buona. Si cerca il posto fisso, ma la ricchezza è sotto i nostri occhi. Si sta capendo che l’agricoltura è un lavoro importante come tutti gli altri. Con un’organizzazione del lavoro adeguata, può rappresentare davvero una nuova frontiera per l’economia regionale e nazionale.  Lo ripeto: bisogna lavorare molto sull’educazione alimentare. Io sono fiduciosa: la strada è già segnata.