Un Ddl riconosce “la voce dei minori” nel diritto-dovere alla frequentazione del genitore non affidatario 

L’eco e il desiderio espresso dalla viva voce del minore nel diritto di frequentazione e del rifiuto all’incontro del genitore non affidatario, approda in una proposta di legge, la n. 472 del 02 dicembre scorso, ad oggi ferma per il varo della Camera dei deputati, volta ad inserire nell’articolo 337 – ter del codice civile alcune disposizioni per aggiornare la vigente normativa in materia di provvedimenti riguardo ai figli. Il piglio è democratico e garantista, ma anche attento e sensibile alle esigenze di tutti, in particolar modo dei minori. L’attuale quadro normativo tende a garantire in ogni caso la presunta necessità del figlio minore di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, senza contemplare apparentemente le situazioni in cui il diritto del genitore al mantenimento della relazione parentale con il figlio minore deve essere bilanciato con il diritto del bambino di esprimere  le proprie remore, i propri timori e le proprie specifiche esigenze rispetto alla relazione con uno dei genitori. L’ascolto dei timori, della paure, del reale desiderio del figlio minore di non intrattenere, per varie ragioni, alcun rapporto con l’altro genitore, genera un’imposizione, che non giova al benessere psico-fisico ed emotivo dei bambini, anzi, causerebbe ulteriori sofferenze destinate a ripercuotersi sulla sua sfera morale, sentimentale, comportamentale e psichica, agendo sull’adulto del domani. Alla base della proposta legislativa c’è proprio l’accertamento scrupoloso e obiettivo della situazione da parte del giudice, con l’eventuale ausilio di psicologi infantili e altri professionisti, consentendo di approfondire ogni singolo caso la volontà del minore in modo chiaro e inequivocabile, anche nell’aiutare lo stesso, senza ingerenze e forzature, la possibilità di un’evoluzione della relazione con il genitore percepito come distante ed estraneo. La proposta di legge intende riconoscere al minore “il diritto ad allontanarsi”, il diritto a non proseguire il rapporto con il genitore che non ritiene degno di rivestire tale ruolo; riconoscendogli anche il diritto ad essere accompagnato nel potenziare e ripristinare la relazione con quel genitore, ovviamente, si presume senza condizionamenti, dunque, destinata anche ad applicarsi ai casi in cui il minore sia in grado di autodeterminarsi e quindi di esprimere valutazioni veritiere. Ovviamente, in questa nuova ottica proposta dal Ddl, il cosiddetto “diritto alla bi- genitorialità” incontra i limiti imposti dall’interesse del minore e dalla sua volontà. Quindi, una nuova visione: diritto alla bi genitorialità che deve essere valorizzato come risorsa per lo sviluppo affettivo e non come un’imposizione o come dogma. E’ il minore, secondo la proposta di legge, il titolare del diritto ad avere e a mantenere una relazione con i propri genitori. E proprio di recente, la Corte di Cassazione ha rimarcato “il carattere non obbligato ed incoercibile del dovere di frequentazione del genitore” e “il diritto del figlio minore di frequentare il genitore quale esito di una scelta, libera ed autodeterminata” (ordinanza n. 6741 del 6 marzo 2020). La stessa normativa internazionale – Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori, e la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, sanciscono che è diritto del minore, e non quello dei genitori, il bene tutelato in primis. Proprio dai dettami internazionali, dalle disposizioni della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e della violenza domestica, deriva la necessità di assicurare il corretto contemperamento tra la tutela delle relazioni familiari e la salvaguardia dell’incolumità delle persone interessate, soprattutto dei soggetti più deboli. E l’Italia ha mancato al suo dovere di protezione e assistenza di due bambini, costretti a incontri con il padre violento, già denunciato per maltrattamenti e abusi, continuati anche durante le visite. La condanna della Cedu, Corte Europea dei diritti umani, è arrivata pochi giorni fa: si tratta della settimana condanna allo Stato italiano per non aver tutelato una donna vittima di violenza e i suoi figli, la quarta nel 2022. La Corte parla di nessuna valutazione del rischio, di interesse superiore dei minori ignorato e di diffusa prassi dei tribunali di qualificare come genitori “non collaborativi” le donne che si oppongono all’incontro dei propri figli con l’ex coniuge, adducendo atti di violenza domestica. Violenza quindi non riconosciuta, nonostante il codice rosso abbia reso obbligatorio il passaggio degli atti dal giudice del procedimento penale al giudice del procedimento civile. Il tema dei bambini invisibili, inascoltati, obbligati a vedere il padre violento è ancora troppo spesso non riconosciuto nei tribunali. Spesso l’’uomo, se violento nei confronti della compagna, viene in molti casi considerato “un buon padre”. In Italia nei procedimenti di separazione e divorzio l’obiettivo ultimo è quello di garantire la bi-genitorialità sancita dalla legge 54 del 2006, tanto che oltre il 90% dei minori è in affido condiviso. Questo nonostante la Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio abbia evidenziato che in oltre un terzo dei procedimenti civili di separazione giudiziale con affidamento di figli minori sono presenti allegazioni di violenza, che non vengono prese in considerazione. La speranza ora si riversa nella proposta di legge, che si propone di intervenire tempestivamente dando quella “voce in capitolo” al minore nell’ambito di un accadimento di vita di per sé già infelice e difficile, perché l’equilibrio familiare ha subito una rottura.