Un ceto imprenditoriale rivoluzionario contro il pericolo di un neofeudalesimo

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Imprenditori? Ne esistono di diverse specie. Ci sono i proprietari d’impresa e i loro discendenti; i capitalisti che investono a loro rischio nell’impresa; i datori di lavoro che impiegano le risorse umane; gli amministratori delegati che con i loro dirigenti attuano le strategie aziendali. Tutte queste figure sono indispensabili per la manutenzione dell’ecosistema. Altra cosa ė la comparsa di un mutante, l’imprenditore rivoluzionario che crea un’impresa imprenditoriale anziché replicare il modus operandi delle imprese manageriali.
L’innovazione presenta una vasta gamma di colori, dalle rassicuranti sfumature pastello dei miglioramenti da introdurre nelle routine aziendali al colore deciso ed energico della rivoluzione del modo di fare ed essere dell’impresa. I rivolgimenti in corso nell’economia globalizzata unitamente agli stress provocati dalle crisi delle banche costringono gli imprenditori a interrogarsi sulla qualità del rinnovamento. Spingere sull’acceleratore dell’evoluzione oppure cambiare marcia inserendo quella della rivoluzione?
Questo interrogativo ne pone un altro. Verso dove sta correndo il capitalismo imprenditoriale? La sua stazione d’arrivo è un nuovo feudalesimo? Da tempo, i grandi guadagni di reddito reale sono terreno di conquista del top 1% delle persone, insomma dei plutocrati. C’è stata, invece, assenza di crescita reddituale per gli individui nel percentile 80-85% della distribuzione. Posti in un grafico, i dati prendono la forma di un elefante, con la parte del corpo rappresentata dal ceto medio, perdente, che si è fatta gracile e con la proboscide dei super-ricchi, i vincitori, che è aumentata spropositatamente. Se non mancano i pionieri della filantropia, alle spalle dell’avanguardia il gruppo è sparuto. Con i capitalisti che tanto hanno già distanziato gli altri concorrenti nella gara per la distribuzione del reddito, il pericolo incombente è l’affermarsi di un mercato feudale non solo del lavoro ma anche della nuova imprenditorialità, con famiglie d’estrazione imprenditoriale sempre più ricche e le loro imprese vieppiù povere. Coloro che cercano lavoro e quanti aspirano o hanno appena fondato imprese che cambiano lo stato dell’arte, gli uni e gli altri finirebbero per soccombere sotto il peso di quella proboscide d’elefante. Per evitare il pericolo di un neofeudalesimo non resta che cogliere le opportunità imprenditoriali dischiuse dalle tecnologie emergenti che aprono lo scenario sull’economia della condivisione al posto del possesso dei beni. A contrastare gli appetiti dei super ricchi è allora il rinnovamento che favorisce la nascita di un nutrito e rivoluzionario ceto imprenditoriale.

piero.formica@gmail.com