Alcuni economisti di varia estrazione, nel corso del secolo scorso e ancor prima degli anni ’50, iniziarono a trattare con interesse prospettico sempre crescente i fenomeni di loro competenza. Fino a allora, più precisamente fin quando non iniziarono a usare sistematico lo strumento matematico, la loro attenzione era stata rivolta prevalentemente alla modalità con cui si ripetevano alcuni fenomeni socialmente rilevanti. Tanto al fine di stabilire empiricamente la possibilità che quanto era accaduto potesse ripetersi in maniera sufficientemente simile. Avevano dato una definizione dell’oggetto dei loro studi che, nell’ attuale fase storica, ritorna più appropriata e attuale che mai. Si erano trovati d’accordo che tra gli argomenti da loro studiati, che non sono nel novero delle scienze esatte, prevale l’osservazione del comportamento dell’uomo, in particolare quello oeconomicus, diverso dal suo complemento, quello ludens. Questi, per ipotesi e in ogni tempo, con le proprie risorse sempre e comunque limitate, cerca di far fronte a una quantità di bisogni illimitata. Corollario più che importante di tale enunciato è che la tipologia delle esigenze non è fissa nel tempo ma è strettamente legata al progresso. Pertanto quegli studiosi stabilirono per convenzione che gli atteggiamenti della domanda verso l’offerta potessero arrivare a durare immutati al più fino a un quarto di secolo. Sono state diverse le circostanze che hanno fatto perdere sempre più nel tempo l’efficacia di questa constatazione, cioè che quell’intervallo temporale potesse essere tanto ampio. Tale preambolo ha la pretesa di voler analizzare, sezionandola, la situazione attuale che va sempre più degenerando per una serie di concause, quasi tutte legate a doppio filo con le violenze in genere in corso, compresa la pandemia. A tal proposito è importante ribadire che tutto il mondo ormai è sul piede di guerra, anche se non ancora di quella sul campo. È impegnato invece in una di tipo economico e commerciale e non c’è bisogno di una preparazione specifica per rendersene conto. Putin e l’accozzaglia di servi sciocchi che orbitano intorno a lui, da mercoledì ultimo scorso, alle 8 del mattino, hanno azzerato d’emblèe la fornitura di gas a Polonia e Bulgaria, facendo materialmente chiudere i rubinetti delle condutture che menano il gas verso quei paesi. In altri tempi, giusto per rimanere nell’argomento evoluzione, comportamenti del genere sarebbero stati considerati appannaggio esclusivo delle bande di filibustieri che scorrazzavano nei mari, in danno di imbarcazioni commerciali. Potrà sembrare una ripetizione, ma non è superflua o da dare per scontata, l’ importanza di quell’arma impropria che è l’enorme quantità di gas di cui dispone Mosca. Essa può essere considerata pericolosa come, se non più, i vari ordigni prodotti dall’industria di guerra. Solo per dare una dimensione reale a quanto scritto innanzi, in uno stadio diverso dell’evoluzione socio economica – basti andare indietro con il pensiero a mezzo secolo fa o poco più – la ridotta disponibilità di gas non avrebbe originato un disagio dalle dimensioni paragonabili a quelle attuali. L’uso di altri combustibili, tra di loro alcuni altamente inquinanti come la nafta e l’olio 3/5, per non parlare del carbonfossile e della carbonella, fu permesso con mano larga fino a qualche anno successivo al ’73, quello in cui si verificò la prima crisi energetica. Secondo un modo di agire che oggi sarebbe perseguito penalmente, fino a quell’epoca si faceva ardere qualsiasi cosa producesse una fiamma e l’elenco di esse è lungo. Da notare che nell’est del mondo la situazione non è attualmente molto diversa da quella appena descritta.
Il mercato libero e concorrenziale, in situazioni del genere, rispetta più che mai puntualmente le regole che lo caratterizzano. Si ritorna così alla teoria che rimane salda a distanza di tempo dalla sua formulazione, che la risorsa offerta a livello mondiale, il gas, limitata da una serie di motivi seppur diversi, non riesce a soddisfare tempestivamente la domanda corrispondente, cresciuta in modo abnorme, almeno per quanto occorre nell’immediato. Due conseguenze macroscopiche si sono già affacciate sulla scena, una già in atto, l’altra prossima ventura, il cui debutto è previsto all’inizio del prossimo autunno. La prima è la crescita abnorme del prezzo di quell’idrocarburo che sabota ogni costruzione di conto economico. Di per sé è fortemente destabilizzante e i suoi effetti devastanti sono già tristemente palesi. La seconda consisterà nel razionamento, misura propria dei periodi di autarchia, quindi fortemente distorcenti per un’attività economica che possa essere definita libera. Anche se necessaria, deve essere considerata come un’ingerenza della mano pubblica, un patire da extrema ratio. Per la complessità della situazione non è possibile fare altro che di necessità virtù, nei limiti del possibile. Sarà opportuno cosi che ogni risorsa che da sola non basterebbe, non venisse scartata a priori. Insieme a altre più o meno equivalenti, non risolverebbero il problema ma fornirebbero un buon contributo allo scopo. Del resto nell’aneddotica del mondo rurale ricorre una situazione analoga ma di segno opposto. Un pio drappello di contadini si stava recando in pellegrinaggio a un santuario per grazia ricevuta. Il santo visitato, invocato durante una moria di polli, l’aveva miracolosamente stoppata. Al loro seguito avevano un asinello, impiegato come porta vivande e altri generi di conforto. Avvenendo ciò nella tarda primavera e essendo il cammino in salita, ognuno dei pellegrini cominciò a liberarsi di qualche vestimento. In molti lo adagiarono sul dorso del quadrupede, pensando “tanto pesa poco”. A un certo punto, per il peso che si era accumulato su di sé, l’equino stramazzó irrimediabilmente. Per quanto prima scritto viene in mente un concetto molto caro agli economisti, la marginalità di alcuni fenomeni. Anche la goccia che fa traboccare il vaso può essere di aiuto alla comprensione di tale concetto. Naturalmente honi soit qui mal y pense..!