Tribunale di Napoli blocca la Spazzacorrotti per i casi di pena sospesa

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In foto il Palazzo di Giustizia di Napoli
Se una condanna è passata in giudicato con pena sospesa, la retroattività prevista dalla ‘spazzacorrotti’ non può essere applicata: i giudici di Napoli fermano l’applicabilità della legge entrata in vigore di recente, che equipara i reati contro la pubblica amministrazione a quelli di mafia. La decisione è della VII sezione del tribunale che si è pronunciata sul caso di una donna condannata in via definitiva per aver tentato di corrompere un finanziere durante un controllo nel suo centro estetico. La signora, che ha 73 anni, venne arrestata e poi condannata a due anni e tre mesi di reclusione. Dopo alcuni mesi la sentenza passa in giudicato e il suo legale, l’avvocato Gennaro Pecoraro, chiede l’applicazione delle misure alternative al carcere, nella fattispecie che la donna presti servizio come cassiera in un bar in un ospedale del centro storico di Napoli. L’esecuzione della pena viene sospesa e gli atti vengono trasferiti al tribunale di Sorveglianza ma prima che il giudice si pronunci, anche a causa del carico di procedimenti pendenti, entra in vigore e viene applicata la spazzacorrotti. Per la signora si aprono dunque le porte del carcere di Pozzuoli (Napoli). Ma l’avvocato fa ricorso e il Tribunale gli dà ragione, sostenendo che la “Spazza Corrotti” non è applicabile e dunque la signora deve essere scarcerata. Ora si attende la decisione del giudice riguardo l’istanza di misura alternativa. “La legge attuale non può valere oggi per allora – spiega l’avvocato Pecoraro – la natura dei reati mafiosi è diversa rispetto a quella dei reati di corruzione in quanto il primo può essere reiterato durante o dopo l’espiazione della pena, mentre il secondo prevede una interdizione a contrattare e lavorare con la pubblica amministrazione, neutralizzandone la possibilità di reiterazione”. Per il legale la vicenda pone interrogativi riguardo l’applicazione della retroattività in generale ed inoltre fa emergere questioni di legittimità costituzionale in relazione all’articolo 3. “Il Tribunale non ha approfondito la questione – conclude – sostenendo che la Consulta aveva già affrontato la costituzionalità” o meno del 4 bis e cioè dei reati per i quali non sono previste le misure alternative alla detenzione. Ma credo che questa sentenza possa aprire il dibattito”.