Capaccio con la sua storia, dai moti cilentani del 1800 al riconoscimento da parte dell’Unesco della zona archeologica di Paestum come patrimonio dell’umanità, è luogo vocato al turismo culturale ma anche a quello balneare con l’ultima Bandiera Blu assegnata dalla Foundation for environmental education. Qui l’offerta alberghiera è di livello, ma di quelli inaspettati dove lusso ed eleganza fanno capolino nella macchia mediterranea che abbonda da queste parti: tra le pinete sorgono strutture imponenti dai servizi “luxury” che rispondono ad una stagionalità più breve di quanto i servizi stessi meritino. il Savoy Beach Hotel, che nel sottotitolo riporta “luxury hotel”, direi non solo che appartiene a pieno titolo in questa categoria ma supera addirittura il concetto entrando nella categoria del “comfort hotel”, dove il valore aggiunto è l’accoglienza oltrepassando la forza stessa della struttura e del suo stesso lusso. La famiglia Pagano è attenta al sorriso, al calore ed alla professionalità, il fondatore Giuseppe dopo aver tirato su prima l’esplanade Boutique Hotel, sempre a Capaccio Paestum, struttura alberghiera dedicata a cerimonie e meeting d’affari vicina al mare ed ai templi di Paestum, si è dedicato all’imponente struttura del Savoy Beach per poi “ritirarsi” nei vigneti a continuare quello che suo padre aveva iniziato sul vesuvio negli anni ‘40, la produzione di vino. ed anche qui fa la differenza, non un produttore qualsiasi ma con coltivazione biologica e biodinamica, attento alla sostenibilità, l’energia è fotovoltaica, la riduzione di co2 è sensibile, questi alcuni dei parametri, su 97 ettari di cui circa 22 a vigneti ed il resto tra frutteti, uliveti, orto, bosco e pascolo per ben 450 bufale (che oltre per il latte del caseificio di famiglia, sono utili per il concime). vignaioli ed allevatori ma anche albergatori, quando si dice imprenditori a tutto tondo. tredici etichette: aglianico, greco, falanghina, fiano, ma anche pinot, ogni etichetta prende il nome, con una leggera variazione, di una località del Parco nazionale del Cilento, giusto per far capire fino in fondo a che punto c’è il legame con il territorio, l’olio bio di rotondella, frantoio e leccino, completa la gamma. Quindi Cicerale in bottiglia diventa Cecerale, trentinara diventa trentenare e così via, ma il clou è dedicato a Gillo Dorfles, già docente all’Università di Milano e trieste di estetica, filosofo, critico d’arte e pittore, amante della piana di Paestum, l’Agliano Riserva è a lui dedicato dal 2009, dodici suoi disegni diventano dodici etichette, un omaggio a questo artista di 106 anni amante da sempre del Cilento, del Savoy. tornando alla struttura alberghiera, si presenta ariosa, grandi spazi interni ed esterni, e quello che colpisce in una perlustrazione “intima” sono gli spazi tecnici (3000 mq) ampiamente attrezzati, quelli destinati alle attività di servizio per il miglior funzionamento di tutte le attività, in alcuni casi superiori alle superfici per i clienti, in altre parole maggior spazio per i lavoratori migliori risultati per i clienti. Giuseppe Pagano deve essere stato un innovatore nelle logiche delle razionalizzazioni degli spazi rapportati ai concetti di workflow strettamente legati alla qualità (quale imprenditore non vorrebbe più coperti o più camere? ), al figlio Salvatore, 27 anni, oggi è destinata la gestione in qualità di General Manager del Savoy Beach mentre la figlia Andrea, 22 anni, insieme alla mamma Giusi gestiscono l’esplanade. Salvatore con grande entusiasmo mi racconta della famiglia e dell’attività, nell’American Bar dallo stile British, caldo ed accogliente, il posto giusto per due chiacchiere ed aprire l’incontro con un aperitivo. Parlare con Salvatore Pagano è comprendere che la gioventù non è una questione anagrafica ma una questione di testa con la luce accesa e scoprirsi vecchi davanti alla semplicità con cui riesce ad ammettere a se stesso ed a chi lo sottopone al critico confronto del giornalista di turno, la passione verso questo lavoro grazie allo spirito di sacrificio della famiglia, all’esser cresciuto tra quelle mura, in quelle campagne ed alla grande attrazione che questo lavoro porta. il Ristorante tre Olivi, arredato con legno di olivo, pochi coperti come si conviene ad un’alta ristorazione, domotica per un’illuminazione soft specifica per ogni tavolo per il miglior benessere del cliente, skyline classica ma moderna dall’interior design caldo ed accogliente, terrazza esterna per la bella stagione che affaccia su una fontana zampillante ed un parco di circa 40 mila metri quadri, è guidato da Giovanni Celentano, giovane maitre dal percorso significativo di ottimo livello e dal suo braccio destro Daniele. Sono arrivato qui, lontano dai circuiti culinari in gran fermento che offrono notorietà (in taluni casi ingiustificata) per capire, nel territorio della dieta mediterranea, chi si “nasconde” in questa cucina e per confermare la diffidenza ingiustificata, fenomeno tutto meridionale, nei confronti della ristorazione d’albergo per quanto con una identità propria. entrée con gamberi al limoncello, bicchierino di caprese, baccalà su crostino con chutney di rabarbaro. Amouse bouche: parmigiana di melanzane (non fatevi ingannare, forma, quantità e proporzione degni della migliore filosofia di bilanciamento, in un boccone); raviolino al San Marzano, ricotta e basilico (al cambio di carta entrerà come primo nel menu degustazione e per questo ritornerò). variazione di gamberi del Mediterraneo; zuppetta di scarole, olive ed acciughe con triglia scottata al sentore di grigliato; spaghettoni aglio, olio e peperoncino con vongole e infusione di baccalà; tortelli all’astice, salsa di taratufi ed aria di mare; scorfano nero con il suo ristretto, cipolle glassate ed asparagi; selezione di formaggi campani; “l’oro bianco di Paestum” (un’eccezionale predessert di mozzarella e pomodoro); il gran dessert al cioccolato tre Olivi e per concludere, la piccola pasticceria. Dalla ampia e ben strutturata carta dei vini (cantina climatizzata a vista all’ingresso) ho scelto un percorso tutto dedicato all’Azienda San Salvatore, otto etichette diverse ed un olio bio in accompagnamento ai pani hanno chiuso in bellezza “il sacrificio”. Cosa dire, Matteo Sangiovanni, membro della nazionale italiana Cuochi e fondatore del team Costa del Cilento, è autore di una cucina raffinata e complessa dal punto di vista intellettuale, che ricerca leggerezza, prende spunto dall’innovazione ed ha un caposaldo nella grande qualità delle materie prime. nei suoi piatti si avverte la purezza, non lo sforzo, capace di emozionare anche chi non ha grande cultura gastronomica e per me, che l’orizzonte è una cucina. Sangiovanni, chef del tre Olivi è una gran bella scoperta. Adesso però lo stile “videre nec videri” (motto dei noatri parà: vedere senza essere visti) deve cambiare, passare dalla rivoluzione silenziosa della sua cucina alla diffusione emozionale, quella stessa che ho provato io senza aver paura di essere contagiato dall’egolatria presente nel comparto. Gran bella squadra, la famiglia Pagano che con i suoi alberghi, i suoi vini, le sue bufale i suoi protagonisti, lo chef Matteo Sangiovanni, rappresenta l’anello di congiunzione tra l’eccellenza dell’imprenditoria e l’emozione consapevole di una cucina matura pronta a spiccare il volo come meta gourmand a pieno titolo.