CONCETTO: Funzione attanziale. L’attante è il soggetto che compie l’azione indicata dal verbo, il verbo è cucinare, la funzione oggettivista di Aristotele è: bene. Ecco la soluzione alla fine del conflitto CONCETTO: Funzione attanziale. L’attante è il soggetto che compie l’azione indicata dal verbo, il verbo è cucinare, la funzione oggettivista di Aristotele è: bene. Ecco la soluzione alla fine del conflitto tra ristoratore e cliente. LOCATION: Costiera amalfitana, tra Erchie e Maiori, arroccata su un promontorio di roccia al di sotto del livello stradale, a picco sul mare, di fronte a Capri, Li Galli, Maiori, Amalfi, Ravello . . . Terrazze esterne e sale interne con un panorama da infarto. PROTAGONISTI: Dal rientro dall’emigrazione, negli anni ’50 inizia la storia ristorativa di questa famiglia, i Ferraro. Oggi i nipoti (con la quarta generazione che muove i primi passi in azienda), declinano l’attività secondo i moderni principi, così dalla semplice attività ristorativa, il Faro di Capo d’Orso diventa una struttura poliedrica con un Cafè, la sala per eventi, il ristorante gourmet ed il Relais con Tenuta Solomita. Luigi ai ricevimenti, sorridente ed accogliente ha sotto la sua supervisione sala e terrazza di incomparabile bellezza, anche il Cafè si avvale di questo suggestivo panorama avvalendosi di una cucina friendly ma con la creatività e la preparazione dello stesso Chef del ristorante; Pio cura la sala e la cantina del ristorante, con molta precisione, affabilità e competenza. Il servizio “gira” sotto la sua supervisione con molta efficienza anche grazie a camerieri evidentemente formati e fidelizzati, quindi persona sì cordiale ma diretto e di sostanza, comportamento a garanzia di un rendimento di alto livello. Neanche la mise en place particolarmente semplice o il panorama paradisiaco potrà distrarvi dai piatti dello chef e da un servizio di livello, tutto diventa border line rispetto alle emozioni da provare …. Pierfranco è lo Chef, qui voglio aprire una annotazione e perché no, anche una polemica a suo favore, in merito alla commistione non allineata tra chef e giornalisti. Pierfranco è Stella Michelin dal 2005, quindi da ben dieci anni, poco presente per scelta ma anche no nel circo del food, persona dall’esperienza internazionale in particolare in Francia (e nei suoi piatti si sente …), con due prerogative in apparenza in opposizione, secondo i moderni canoni tecnici e di comunicazione, grande capacità di centrare gli aspetti sensoriali di un piatto ed una umiltà spiazzante che contrasta il risultato stesso. Oggi siamo abituati a vedere gli chef stellati, premiati ed appartenenti a questa o a quella associazione o circuito gastronomico, con la giacca stampata e/o ricamata di fregi come neanche si fosse fatta la campagna di Russia o la conquista dell’Etiopia, bandiera italiana ben che vada se non quella europea (ma poi che c’entra l’Europa con la cucina del territorio …). Pierfranco è in giacca bianca, candida, senza stella, senza nome e cognome, con solo qualche piccola macchia di cibo, le uniche “medaglie” che tutti noi vorremmo vedere. Una tecnica formidabile, i cinque gusti (amaro, dolce, salato, acido ed umami) tutti presenti in maniera distinta e senza dubbi, le consistenze presenti nel piatto si offrono al palato in un gioco divertente ma serio che possono essere percepite anche dal palato poco allenato. Anche quando stimola il trigemino con la capsaicina (il principio attivo del peperoncino) lo Chef dimostra tutta la sua bravura nel saper stimolare sensi e sapori con grande equilibrio. Ecco, a quanto pare giornalisticamente tutto ciò è poco rilevante considerato il disinteresse verso di lui di buona parte della informazione e della comunicazione, escludendo chiaramente le dovute eccezioni. Forse per certi aspetti, è meglio così, l’impulso competitivo sotteso a questioni di visibilità speso nella comparazione contraddittoria con l’altro piuttosto che nella valorizzazione della propria identità, qui non c’è. Quindi, visti i risultati, meglio così. Non lasciatevi ingannare dalla apparente semplicità di alcuni piatti perché così non è, qui c’è certamente tecnica e materia prima nel rispetto del territorio, ma soprattutto c’è modestia nonostante come dicevo ci siano tutti gli elementi per gonfiare il petto, insomma qui si pensa solo a lavorare con un solo obiettivo: il cliente. E adesso il cliente sono io. Seeberg Riesling Riserva ’99 dell’Austriaca Loimer nel mio calice per tutta la bottiglia. Pani in ben nove variazioni tutti home made. Tartare di dentice, alice gratinata, seppia in tempura, pralina di seppia compongono l’entrée. Gamberoni rossi appena scottati al profumo di guanciale, insalatina di piselli e menta, cipolla marinata e salsa di mozzarella di bufala; Triglie di scoglio cotte in crosta di pane e fiordilatte, salsa di ostriche fresche, soffiato di provola. Questi sono gli antipasti. Linguine mantecate con alicette fresche, colatura di alici, salsa di broccoletti al peperoncino piccante e briciole di pan saporito: Tortelloni di sfoglia allo zafferano ripieni di coda di manzo e salsa genovese, ricotta dura e menta. Questi i primi. Trancetto di dentice locale cotto al forno con finocchietto selvatico, limone candito, lime e mela verde; Bianco di spigola cotto in olio d’oliva al limone, pane grigliato, favette e gamberi in sushimi. I secondi. Creme brulèe alla lavanda e fragola come predessert, tirami-su il dessert e la piccola pasticceria il post dessert. Il tutto accompagnato da un passito delle cantine Abraxas. Mi manca lo spazio per descrivere ogni singolo piatto, vi lascio alla sorpresa garantita, dove i fatti superano ampiamente le promesse. La cantina ha circa 1700 etichette, non ci si annoia… Menu degustazione €. 65
Il Faro di Capo d’Orso: Via D.Taiani, 48 – 84010 Maiori (Salerno) Costiera Amalfitana – Info e prenotazioni +39 089 877022 info@ilfarodicapodorso.it – http://www.ilfarodicapodorso.it