Tra banche e politica ci rimette il risparmiatore

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“L.D. 70 anni, pensionato di Civitavecchia, si è tolto la vita straziato dalle conseguenze del decreto Salva- Banche. Le vittime del Salva-Banche porgono le loro più sentite condoglianze alla famiglia”, scrive il collettivo dei malcapitati risparmiatori. Ci vuole il morto – come spesso accade dalle nostre parti – per smuovere le coscienze, al di là dello scontato dibattito di rito che inonda i mezzi di comunicazione. Il pensionato ha perso 110mila euro, i risparmi di una vita, custoditi nelle cosiddette “obbligazioni subordinate” a seguito del salvataggio della banca Etruria, una delle quattro, insieme con Banca Marche, Carife e CariChieti salvate dal fallimento. “Per salvate le banche, ma anche i posti di lavoro”, dice il premier Matteo Renzi. Ed è solo un fatto accessorio se di quella Banca Etruria, fino ad un mese fa, era vice presidente il papà della ministro Maria Elena Boschi, il quale – come tutti i bravi papà – in quell’istituto aveva pensato bene di dare un posto di lavoro anche al figliolo. La vicenda, dunque, è legata al decreto varato dal governo lo scorso 22 novembre, che prevede la creazione di quattro banche ponte e di una bad bank in cui far confluire tutti i crediti deteriorati dei quattro istituti. “Il tutto grazie all’intervento delle altre banche”, sottolinea l’Abi. Nell’operazione, come precondizione imposta dall’Europa – contro la quale ora tutti puntano il dito, finanche Bankitalia, che pure avrebbe dovuto vigilare sulla gestione di questi istituti – sono state azzerate tutte le azioni delle quattro banche e le obbligazioni subordinate. In tutto sono andati in fumo circa 800milioni di euro, di cui circa 300 milioni di obbligazioni vendute al mercato retail, ovvero ai piccoli risparmiatori. La metà delle quali emesse e vendute, appunto, da Banca Etruria. In tutto sono 130mila le persone coinvolte, e 20mila le famiglie che hanno perso i propri risparmi. Ma poco importa, sembra di capire. In fondo, il rischio è connaturato al tipo di investimento. Giusto per intenderci: le obbligazioni subordinate, come tutte le obbligazioni, sono dei titoli rappresentativi di un debito, che consentono a chi le acquista di diventare creditore dell’istituto emittente, incassando periodicamente degli interessi: le cedole. Rispetto ai bond ordinari, però, quelli subordinati espongono i risparmiatori a un grado di rischio molto più elevato, simile a quello assunto di chi acquista un’azione. In caso di fallimento della banca emittente, i titolari delle obbligazioni subordinate sono considerati dei creditori di serie B, i cui diritti patrimoniali possono essere soddisfatti soltanto dopo aver risarcito altri soggetti come i dipendenti della banca, i correntisti o i sottoscrittori dei bond ordinari). Rischio da mettere in conto, è logico. Salvo, però, che in molti casi – anche in quello del pensionato che si è ucciso – la banca oltre ad essere stata non del tutto corretta nel dare informazioni rispetto al possibile e concreto rischio di perdere tutti i propri risparmi, ad un certo punto ha anche impedito il disinvestimento. E’ questo, mi pare il punto, insieme con quello della responsabilità delle autorità di vigilanza, compreso il collegio dei sindaci degli istituti coinvolti (ma, attenzione: ci sono in giro almeno altri nove istituti a rischio). Nessuno, tuttavia, pagherà per questo. Ci metto la mano sul fuoco. E mentre il governo sta “studiando misure di tipo umanitario” (proprio così, “umanitario” ha detto il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan) e dai banchi del Parlamento, Italiano o di Strasburgo, da quegli stessi magari che hanno approvato supinamente la direttiva europea del bail-in o colpevolmente ignorato che la Germania usò 240 miliardi pubblici per salvare le sue banche disastrate, si continua a recitare il rosario di una scontata quanto pelosa indignazione, ignorando peraltro che questo ennesimo scandalo di risparmio tradito è, forse, anche più grave dei precedenti. E, dunque, che la reputazione da difendere non è solo quella delle quattro banche salvate, ma dell’intero sistema. Con tutto ciò che ne consegue. Ma magari mi sbaglio. Staremo a vedere. E soprattutto staremo in campana perché il prossimo 16 dicembre è in arrivo un’altra, l’ennesima stangata, di 5 miliardi di euro, tra Imu e Tasi. Giusto per non farci mancare nulla.