I Tg che mostrano i turisti in fuga da Ischia colpita dal terremoto rischiano di consegnarci un’immagine dell’industria delle vacanze in Italia non rispondente al vero. Il Belpaese, infatti, con 52, 6 milioni di turisti si conferma nella graduatoria dei più visitati, al quinto posto dopo Cina (55.6 milioni), Spagna (65 milioni), Usa (74,8 milioni) e Francia (83,7 milioni). In particolare, l’Italia è considerata meta sicura dai principali osservatori dei flussi vacanzieri, anche se la definizione – a ben vedere – risuona più come luogo comune che come dato oggettivo. Nel senso che Spagna e Francia, anche alla luce dei recenti attentati terroristici – il dato qualitativo della sicurezza è riferito a questo aspetto, prima della criminalità – continuano a tenere la posizione di testa nell’elenco.
Ad ogni modo, conforta sapere che nel consuntivo degli anni 2015-16 redatto dalla Farnesina l’incremento degli arrivi stranieri sul suolo italico è stato del 3,7%. Al netto degli sbarchi degli immigrati, ovviamente. Ma sul punto ci torneremo. Indicativo, poi, è pure il dato dei flussi turistici suddivisi per regione. Il primato tocca al Veneto con oltre 42 milioni di presenze nel 2015, seguito dal Trentino Alto Adige (quasi 27 milioni). Certo, i turisti stranieri scelgono il mare della Campania, Sicilia e della Sardegna, così la percentuale di presenze, rispetto al nord, sale al 48%.
Inutile aggiungere che la voce turismo ha un peso non marginale sulla formazione del pil nazionale, dato che il settore vi concorre per circa il 12% (in termini assoluti vale 171 miliardi di euro). Ma si potrebbe e dovrebbe fare di più. Intanto dire le cose come stanno al di là del “politically correct”. Come fa, per esempio, Matteo Marzotto che in un’intervista a Linkiesta.it afferma: “Il turismo in mano alle regioni è stato un fallimento”. E si dovrebbe aggiungere: così come la sanità, la formazione professionale, le politiche forestali (con riferimento ai boschi andati in fumo) e ambientali, la pianificazione urbanistica eccetera. Insomma, si farebbe prima a dire: aboliamole. Ma è inutile. L’orientamento della classe politica nazionale marcia in altra direzione.
Si prenda l’ultimo annuncio del governo: con le dimissioni del commissario per la ricostruzione Vasco Errani (già presidente della Regione Emilia Romagna, per ricordare) che ad un anno dal sisma del centro Italia lascia l’incarico con il 92% dei cumuli di detriti ancora da rimuovere e appena l’8% delle case prefabbricate consegnate, le regioni avranno un maggiore peso, ha assicurato Gentiloni. Incrociamo le dita. Ricordo, infatti, che all’Aquila a 8 anni dal sisma le ombre sono assi più delle luci. E ancora ferme al palo sono soprattutto le iniziative di ricostruzione affidate al Pubblico.
Il colpevole ruolo di regioni ed enti locali è pesantemente emerso anche nel caso del terremoto di Casamicciola, facendo emergere pesanti inadempienze e responsabilità in materia di gestione del territorio. Certo, ai pesanti danni non è estranea la morfologia dei terreni vulcanici – hanno spiegato gli esperti – resta il fatto che i crolli (e forse anche i morti) sono decisamente “troppi per una scossa di appena magnitudo 4.0”.
Insomma, invece che di condoni, piani regolatori in deroga, abusivismo di necessità e via discorrendo si dovrebbe parlare finalmente di responsabilità degli amministratori locali (magari prevedendo, prima ancora dell’accertamento penale personale, termini improrogabili e scioglimento immediato delle amministrazioni inadempienti) e di messa in sicurezza delle case. Che poi equivale a dire attivare un volano di almeno 56 miliardi di spesa per investimenti. Altro che politiche di sviluppo. A Rimini, dove alla corte di Comunione e Liberazione (CL), dopo lo scorno del caso Formigoni, quest’anno è tornato a riunirsi il gotha della politica e della finanza nostrana, il ministro delle infrastrutture Graziano Delrio ha ricordato che gli strumenti (detrazioni fiscali fino all’80% in cinque anni) già ci sono. Ma le parole non bastano, evidentemente.
E per concludere, la vicenda dell’immobile ex Federconsorzi (33 mila metri quadrati, in pieno centro a Roma) sgomberato dalla polizia di un gruppo di immigrati provenienti dal Corno d’Africa (Etiopia ed Eritrea, in particolare) che l’aveva occupato abusivamente ormai sono quattro anni. La storia di un investimento in rosso di oltre 4 milioni di euro usciti anche dalle casse dei fondi pensione è diventato, sui media, un problema di ordine pubblico. Come dire, in secondo piano nella melassa del politically correct.