Tasso e Leopardi. Gemelli (in)felicissimi

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“VENERDÌ 15 FEBBRAIO 1823 fui a visitare il sepolcro del Tasso e ci piansi. Questo è il primo e l’unico piacere che ho “VENERDÌ 15 FEBBRAIO 1823 fui a visitare il sepolcro del Tasso e ci piansi. Questo è il primo e l’unico piacere che ho provato in Roma”. Così scrive, cinque giorni dopo, Giacomo Leopardi al fratello Carlo, durante il suo deludente viaggio capitolino e prima del ritorno alla natia Recanati. “Tu comprendi la gran folla di affetti che nasce dal considerare il contrasto fra la grandezza del Tasso e l’umiltà della sua sepoltura”, precisa. Un anno e tre mesi dopo il poeta scriverà il dialogo dell’operetta morale che ha come protagonista lo scrittore e drammaturgo sorrentino. “Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare” è un’ode – nel senso più puro di canto – di Leopardi al suo poeta preferito, colui che, nello Zibaldone, descrive come “eccetto Petrarca, il solo italiano veramente eloquente”. Qui emerge con forza la compassione che Leopardi prova per se stesso e per Tasso, che nel testo ha nostalgia dell’amata. Il Genio-Leopardi spiega a Torquato che la felicità è irraggiungibile e che la vita, vissuta ponendo la felicità stessa come fine, non potendo raggiungerla, diventa violenta. L’esistenza è così “composta e intessuta, parte di dolore, parte di noia”. Due vite per molti aspetti parallele benché distanti tre secoli, due poeti “infelicissimi” (l’aggettivo è di Leopardi) in contrasto con la famiglia d’origine e interiormente claudicanti, sempre combattuti tra la tradizione e il loro tempo: inTasso, probabilmente, Leopardi legge il suo stesso dissidio. Un “genio straordinario” lo definisce: e anche se non ne apprezza l’opera, neanche la più celebre Gerusalemme liberata, scrive: “Chiunque conosce intimamente il Tasso, se non riporrà lo scrittore o il poeta fra i sommi, porrà certo l’uomo fra i primi, e forse nel primo luogo del suo tempo”. E allora, oggi, almeno il poeta del sabato nel villaggio sarebbe un po’ meno infelice nell’assistere al gemellaggio culturale, 419 anni dopo la morte di Tasso, e 177 dopo la sua, siglato tra le rispettive città natali, Recanati e Sorrento. Non stupisce questa affinità elettiva: l’Ottocento di Leopardi è in realtà terreno fertile per la riscoperta del mito tassiano, individuando nel poeta di Recanati una sorta di alter ego romantico dello scrittore cinquecentesco. Il primo approdo è nella canzone che il poeta dell’infinito dedica ad Angelo Mai, il cardinale che a inizio ’800 scoprì ampi frammenti del “De re publica” di Cicerone. Leopardi si rivolge a Torquato, citato tra i riferimenti a Dante e Petrarca e quelli a Alfieri e Ariosto. Di Tasso, l’autore descrive e condivide l’incomprensione di un’anima grande in un tempo eccessivamente individualista. Sempre nella raccolta di pensieri dello Zibaldone (dove il nome di Tasso supera le venti occorrenze), Leopardi torna sul letterato di Sorrento riconoscendo che se “in merito di originalità e d’invenzione restò inferiore agli altri tre sommi poeti italiani, quando il suo animo per sentimenti, affetti, grandezza, tenerezza, ecc certamente gli uguagliava se non li superava”. Da oggi, le loro città natie dialogheranno in un continuativo confronto e promuoveranno se stesse con l’ulteriore strumento del gemellaggio appena siglato. Culturale, ma anche economico. Con un’attenzione privilegiata ai giovani, già destinatari, a Sorrento, del Certamen Tassianum, premio bandito dall’Associazione Studi Storici Sorrentini con la collaborazione della Commissione Comunale di Pari Opportunità e il patrocinio del Comune di Sorrento e di cui si è appena conclusa la quinta edizione. Appassionato promotore del legame tra Leopardi e Tasso, Antonino Cuomo, avvocato e presidente dell’associazione Studi Storici Sorrentini. “Le due comunità potranno reciprocamente incontrarsi – spiega -, ponendo a disposizione anche le reciproche ricchezze ispirate dal confronto dei due poeti”.