Svimez anticipa il Rapporto 2016 sul Sud e presenta i principali dati economici sull’andamento del ciclo produttivo.

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IL CONTESTO DEL 2015 – L’anno precedente è stato positivo per il Sud, il cui PIL è cresciuto dell’1%, più che nel resto del Paese, dove è stato pari allo 0,7%. Ciò è la conseguenza di alcune condizioni peculiari, che non è scontato si ripetano. In questa ripartenza, l’occupazione, la cui dinamica favorevole è stata in parte dovuta alla forte decontribuzione sulle nuove assunzioni col Job Act, è stata decisiva per la crescita del prodotto.
COSA DICE LA SVIMEZ: La sfida è non lasciare che questa performance conservi i caratteri dell’eccezionalità, e ciò potrà avvenire solo se saranno fatte precise scelte politiche. La crescita del 2015 ha, infatti, ridotto solo parzialmente il depauperamento di risorse e potenziale produttivo provocato dalla crisi e restano i problemi di competitività legati alla dimensione e alla composizione settoriale.
PREVISIONI 2016 E 2017 – In base ai dati SVIMEZ, la ripresa del Paese è più lenta del previsto. Quest’anno il PIL dovrebbe aumentare dello 0,3% al Sud e dello 0,9% nel resto del Paese. Il principale driver della crescita sarebbe costituito dalla domanda interna, innanzitutto dalla spesa delle famiglie sul territorio (+0,7% nel Sud, +0,6% nel Centro-Nord). Che, nelle regioni centrali e settentrionali, verrebbe affiancata da un’accelerazione nella spesa per gli investimenti totali (+2%), mentre al Sud si fermerebbe al +0,6%. Nel 2017 l’evoluzione congiunturale delle due macro aree sarebbe invece simile: +0,9% nel Sud e +1,1% nel Centro-Nord.
COSA DICE LA SVIMEZ: Il nodo vero, ancora una volta, è lo sviluppo economico nazionale, per ottenere il quale il Mezzogiorno può essere un’opportunità.
L’EVOLUZIONE DEL PIL NEGLI ULTIMI ANNI – Nel 2015 il prodotto dell’Italia è tornato a crescere dello 0,8%, dopo tre anni di cali consecutivi. Il recupero, però, è molto più lento se confrontato con l’Area dell’Euro, dove la crescita è stata doppia (1,7%) e con l’intera Unione Europea, dove è stato ancora maggiore (2%). Si allarga, perciò, la forbice di sviluppo con l’Europa: nel complesso del periodo 1996 – 2015, il gap cumulato è pari a 29 punti percentuali con l’Unione Europea, a quasi 23 con l’Area dell’Euro. In questo quadro il dato meridionale fa impressione: nel ventennio il Sud è cresciuto di appena l’1,3%, quasi 40 punti in meno dell’Ue a 28.

LE CONDIZIONI PECULIARI DELLA CRESCITA NEL 2015 – Innanzitutto, un’annata agraria particolarmente favorevole, poi la crescita del turismo che ha beneficiato delle crisi geopolitiche dell’area del Mediterraneo, ancora la chiusura della programmazione dei Fondi Strutturali europei 2007 – 2013, che ha portato a un’accelerazione della spesa pubblica legata al loro utilizzo per evitarne la restituzione. Anche la domanda estera netta ha dato un contributo positivo, con un incremento dell’export verso il resto del mondo del 4%.
PER LA PRIMA VOLTA DAL 2008 AUMENTANO CONSUMI E INVESTIMENTI –I consumi finali interni nel 2015 sono cresciuti dello 0,3%, a fronte del calo dello 0,6% del 2014. I consumi delle famiglie sono aumentati l’anno scorso dello 0,7%. Ciò vuol dire che gli incrementi di reddito e di occupazione non si sono riflessi al Sud sui consumi delle famiglie che sono risultati frenati, probabilmente, dalla necessità di ricostituire lo scorte monetarie, prosciugate negli anni di crisi.
Gli investimenti nel Mezzogiorno sono cresciuti dello 0,8% dopo 7 anni di variazioni negative. L’incremento è stato simile a quello del Centro-Nord (0,8%).
I SETTORI CHE TRAINANO LA CRESCITA – Nel 2015 il Sud ha fatto registrare incrementi superiori al resto del Paese in tutti i settori, tranne che nell’industria in senso stretto. Il valore aggiunto agricolo ha segnato +7,3%. Il terziario +0,8%, più del doppio del Centro Nord. Invece nell’industria in senso stretto il prodotto è calato nel Mezzogiorno del -0,9%, a fronte di +1,7% del Centro – Nord. Tale dinamica è da attribuire al settore energetico, perché, considerando il solo settore manifatturiero, il prodotto si è ampliato anche al Sud, più che nel resto del Paese (+1,9% contro +1,4%).
ANDAMENTI DIFFERENZIATI DELLE REGIONI MERIDIONALI NEL 2015 – La Basilicata, grazie soprattutto all’automotive, ha il ritmo più intenso di crescita (+5,5%). il Molise registra +2,9%, l’Abruzzo +2,5% grazie all’industria, la Sicilia e la Calabria, per l’eccezionale performance dell’agricoltura, crescono rispettivamente dell’1,5% e dell’1,1%. Molto più contenuta (solo lo 0,2%) la partecipazione alla ripresa di Campania, Puglia e Sardegna, per la presenza di alcune crisi industriali.
RESISTE L’INDUSTRIA MERIDIONALE – L’apparato produttivo meridionale sopravvissuto alla crisi sembra essere in condizioni di restare agganciato allo sviluppo del resto del Paese e manifesta una capacità di resilienza. Nel Mezzogiorno si rileva la presenza di un gruppo di imprese dinamiche, innovative, con un grado elevato di apertura internazionale e inserite nelle catene globali del valore. Accanto all’aumento del prodotto, però, non si è però arrestata al Sud la flessione dell’occupazione.
COSA PROPONE LA SVIMEZ – Serve una politica industriale, che non punti solo a sostenere le eccellenze ma sia finalizzata a consolidare la struttura dell’intero sistema. Tra gli strumenti proposti dalla SVIMEZ, in primo luogo le Zone Economiche Speciali, per le quali sarebbe opportuna una legge nazionale che ne consentisse un’implementazione in tempi brevi.
I NODI DEL CREDITO – Su 190 miliardi di sofferenze bancarie stimate al 2015, 42,5 sono nel Mezzogiorno. Le azioni da intraprendere dovrebbero andare oltre le misure messe in campo, tenendo conto del problema non trascurabile relativo al ruolo da preservare che le banche locali hanno al Sud.
COSA PROPONE LA SVIMEZ – Sarebbe opportuno che i 500 milioni della Sga, che a suo tempo rilevò le partite in sofferenza del Banco di Napoli ed è ora prevista tra i partecipanti al Fondo Atlante2, impegni le proprie risorse in modo da farle tornare ai territori da cui provengono.
LA RIPRESA OCCUPAZIONALE AL SUD PER I CONTRATTI A TERMINE – Nel 2015 gli occupati nelle regioni meridionali sono aumentati di 94 mila unità, pari a +1,6%, mentre in quelle del Centro-Nord si registra una crescita di 91 mila unità (+0,6%). Ma mentre il Centro – Nord ha recuperato quasi interamente i livelli occupazionali pre-crisi, il Sud è ancora sotto la soglia del 2008 di quasi mezzo milione. Nel Mezzogiorno ci sono stati 37 mila occupati in più (+1%) tra i dipendenti a tempo indeterminato, grazie alla decontribuzione sulle assunzioni con le nuove regole del Job Act. Ma il maggior contributo alla ripresa occupazionale è venuti dai contratti a termine, +56 mila, pari a +7,4%, e ciò si spiega col fatto che a trainare la ripresa meridionale siano stati soprattutto agricoltura e turismo.
COSA PROPONE LA SVIMEZ – Ripristinare nella formula del 2015 la decontribuzione sulle assunzioni a tutele crescenti, il cui affievolimento nel 2016 è probabilmente la ragione principale del rallentamento della dinamica occupazionale nel primo trimestre di quest’anno.
ANCORA PREOCCUPANTE IL CONTESTO SOCIALE – La grande recessione ha inciso pesantemente sulle condizioni delle famiglie, in particolare quelle più numerose. Gli individui in condizione di povertà assoluta sono aumentati di 218 mila unità nel Mezzogiorno. E il rischio povertà è nel Sud triplo rispetto al resto del Paese.
COSA PROPONE LA SVIMEZ – Una prima risposta è nel Piano per la lotta alla povertà del governo. Che si fonda giustamente sull’inclusione attiva, attraverso l’offerta di servizi alla persona, e non su misure assistenziali. Ma che non prevede un progressivo incremento dei finanziamenti in modo da avere, nel breve periodo, un ammontare di risorse tale da raggiungere la totalità, o almeno la maggior parte, dei cittadini in condizione di povertà assoluta. Il miliardo e mezzo stanziato a regime è, infatti, ben lontano da quest’obiettivo.
LA LEVA DEGLI INVESTIMENTI PUBBLICI – Il Sud è da sempre estremamente reattivo alla leva degli investimenti pubblici. Negli anni della crisi avevano subito un vero e proprio crollo. Il punto più basso nel 2014, quando hanno raggiunto appena 13,2 miliardi, lo 0,9% del Pil, contro l’1,6% nel 2001. Ma nel 2015 la spesa pubblica in conto capitale è risalita all’1% sul Pil, registrando un incremento, dovuto essenzialmente alle risorse aggiuntive europee, rendicontate per la chiusura del ciclo 2007 – 2013: tuttavia si è trattato di una spesa largamente sostitutiva, viene meno la leva nazionale delle politiche di coesione (FSC) e la spesa ordinaria è sostanzialmente dimezzata rispetto alla media storica. L’impegno di alcune delle principali imprese pubbliche al Sud è scandalosamente basso: le Ferrovie, nel 2014, hanno investito appena il 18,4% della loro spesa in conto capitale. Altra, come la GSE, invece, hanno incentivato fortemente la costruzione di impianti fotovoltaici.
COSA PROPONE LA SVIMEZ – Una positiva discontinuità potrebbe essere rappresentata dall’attuazione del masterplan, anche se, per esprimere un giudizio complessivo, si attende la stipula di tutti i Patti. Ma alcune novità emergono, a partire dalla programmazione di una quota rilevante del Fondo Sviluppo Coesione 2014 – 2020. Occorre accentuare la strategicità degli interventi e fissare le modalità operative di un reale coordinamento, non solo tra le diverse fonti finanziarie delle politiche di coesione europee e nazionali, ma soprattutto con le politiche generali ordinarie, che restano il vero buco nero. La vera sfida è quella dell’aggiuntività, decisiva nel 2016. Infatti, a fronte di una previsione tendenziale che vede un sensibile rallentamento nella crescita dell’area (+0,3% di Pil, dopo il +1% del 2015), si potrebbe registrare una performance migliore se lo spazio di investimenti aperto con l’attivazione della clausola di flessibilità, che vale lo 0,3% del Pil nazionale nel 2016, risultasse davvero aggiuntivo e non sostitutivo.
Se si investe, il Sud risponde e può rappresentare un’opportunità per l’intero Paese. Secondo le nostre stime, infatti, l’incremento di Pil, nel Sud, associato agli investimenti complessivamente attivabili dalla clausola (circa 7 miliardi nell’area), sarebbe pari a circa 0,8 decimi di punto percentuale nel 2016, con un beneficio per l’intero Paese, alla cui crescita il Mezzogiorno tornerebbe ad allinearsi.