Se la lavatrice di casa non svolge più la sua funzione, e la sporcizia della biancheria (i calzettoni dei ragazzi dopo una partita di calcetto, ndr) a fine lavaggio risulta tristemente intonsa nel proprio stato, da ora in poi si potrà dare la colpa a chi quella biancheria l’ha sporcata. Eh già, poco conta se la lavatrice ha qualche problema, la colpa è di chi giocando a calcetto ha sporcato di terra i calzettoni. Questo singolare, quanto poco convincente, schema di ragionamento sembra essere molto in voga in questo periodo. Si stanno concentrando tutte le energie per evitare che il virus che ci invade da mesi possa avere ragione di un intera nazione. Mentre i trasporti urbani pullulano di passeggeri, come se ogni viaggio fosse l’ultimo previsto nel secolo, regalando al (poco) simpatico pallino pieno di spine comode vie per saltare da un individuo all’altro, chiudere i musei, le mostre e i siti d’interesse culturali è risultata la chiave di volta per intimare al perfido virus una resa incondizionata. Non mai pervenute immagini di resse di visitatori che si spintonano a vicenda all’ingresso di un qualsivoglia museo o mostra sul pianeta. Il problema, al di la delle ragioni, certamente molto sofisticate, che hanno guidato tale decisione è che chiudere i musei e strutture culturali, in un momento in cui l’affanno economico uccide come e più della malattia, sembra quanto meno azzardato.
Avendo dovuto rinunciare al turismo straniero, avendo dovuto ridimensionare l’attività su un turismo di vicinanza, che per quanto volenteroso, non ha i numeri e forza per sostituire quello d’oltralpe, i gestori pubblici e privati hanno solo potuto osservare la pietra tombale che è stata posta sul loro lavoro. Senza voler scomodare Sant’Agostino sul carattere diabolico del perseverare nell’errore, e con buona pace di Cicerone che attribuiva tale perseveranza all’ignorante, questa scelta appare quantomeno bizzarra. Le già sperimentate chiusure forzate, in alcuni casi, sono state prolungate rispetto a quanto fissato nei decreti: l’80% degli enti non ha ripreso l’attività dopo la Fase 2 del 18 maggio, a causa delle perdite già subite e dell’incertezza sull’ effettiva possibilità di ripartenza. Il 70% degli enti culturali ha calcolato perdite superiori al 40%, e circa il 13% prospetta perdite superiori al 60% del bilancio. I dati riportati nel Rapporto Federculture 2020 chiariscono che la tendenza, musei esclusi, non era affatto positiva: il settore culturale era già abbondantemente in crisi prima della pandemia. Per il cinema, il teatro e i concerti, infatti, c’è stata una contrazione di frequentatori tra il 2010 e il 2019. Il cinema che fino al 2010 era in crescita del 12,1%, dal 2010 ha perso il 6,1% di fruitori. Il teatro tra il 2010 e il 2019 ha subito un calo dell’8,8% mentre negli anni precedenti era cresciuto del 27,3%. Nonsolovirus dunque.
Continuare la sistematica demolizione del settore cultura, che già prima della pandemia risultava avere molte criticità, è sicuramente grande prova della mancanza di una visione che superi l’immediata condizione, e guardi di qui a due anni, preoccupandosi non solo si sostenere, ma principalmente di gettare le fondamenta a nuovi modi in grado di rinnovare e rilanciare tutto il settore. Tutta la filiera culturale, dalla produzione legislativa ministeriale alla fruizione individuale, dovrà rinnovare i modelli e immaginare nuove condizioni di offerta. Il periodo, paradossalmente, è quello favorevole agli esperimenti: è possibile ora come ora cercare di conquistare un pubblico che, trovandosi privato di molti dei propri svaghi, potrebbe, anche per noia o curiosità, avvicinarsi ad un nuovo modello di museo, di libreria, di azione teatrale. Siamo nell’era della tecnologia, della comunicazione social e sperimentare qualcosa di più di un semplice collegamento a internet per visite guidate, visioni di film o di spettacoli teatrali è davvero molto riduttivo. Una rappresentazione teatrale vista nel suo luogo dedicato provoca emozione, autoidentificazione, curiosità. Parafrasando:” è il teatro, bellezza”. La pausa, il movimento scenico che la riempie più di un espressione verbale, a teatro emoziona. La stessa pausa, in video perde forza se non accompagnata da primi piani che rendano leggibili i volti. Trasmettere in video uno spettacolo non è mandare in onda la sua registrazione. Ci vuole una regia apposita che interpreti il teatro per la resa in video. L’interpretazione è fondamentale per la redazione di qualsiasi programma culturale: permette di guardare oltre l’attualità perché sollecita i sensi e quelli con e senza pandemia fortunatamente restano attivi. Sullo scrigno della cultura c’è un indicazione: maneggiare con cura. È necessario non dimenticarlo mai.