Sud vivo nonostante tutto: con una strategia intelligente può diventare il secondo motore del il Paese

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in foto Adriano Giannola

Pubblichiamo una sintesi dell’intervento del presidente della Svimez, Adriano Giannola, che ha chiuso l’incontro per la presentazione del 51mo Rapporto della Svimez.

di Adriano Giannola

Nel corso del 2024 si è andata affermando un’immagine del Sud relativamente nuova e fortunatamente positiva, che ha fatto scalpore e stimolato qualche piccata reazione: una crescita del Mezzogiorno che supera il Centro-Nord e che macina record di occupati. Questo Sud si presta a comodo simbolo del successo della strategia governativa che lo rilancia quale Zes Unica. Si tratta di primati veri e apparenti allo stesso tempo: la contabilità scientifica, infatti, avverte che aumentano gli occupati ma diminuiscono le ore lavorate e si ingrossa la schiera dei lavoratori poveri. Ciò spiega la voragine della produttività stagnante dalla quale non si riesce ad uscire e che spiega il grigiore della stagnazione generale, più evidente al Nord, conclamata al Centro e che è invece persistente normalità al Sud.

La Svimez i primati li documenta e lo battezza come l’anno della crescita differenziata, un titolo che ironicamente fa il verso alla retorica leghista dell’Autonomia Differenziata della legge Calderoli, fatta a pezzi dall’accurata, chirurgica, dissezione della Corte Costituzionale. I primati del Sud hanno una spiegazione molto semplice che prende il nome da una delle 7 opere della Misericordia dipinta a Napoli da Caravaggio: dar da mangiare agli affamati. La verità è che il Mezzogiorno è vivo, è sopravvissuto alla dieta alla quale alludeva nel 2018 l’ex ministro per la Coesione del governo Conte 2, in audizione alla commissione parlamentare di inchiesta sulla spesa storica: quando documentava che al Sud da molti anni mancano all’appello circa 60 miliardi l’anno di risorse pubbliche, soprattutto in conto capitale. C’è voluta la pandemia e il provvidenziale intervento straordinario Ue del Pnrr con le condizionalità, peraltro larvatamente rispettate, per far vedere che il Mezzogiorno è ancora vivo e chiede solo una dieta intelligente collegata ad una ancor più intelligente strategia: quella che consentirebbe di mettere a terra l’evidentissima opportunità per essere quel secondo motore indispensabile a rimettere in corsa il Paese.

Dunque, dire che il Mezzogiorno è un problema in via di soluzione è un pio desiderio. Perché l’emigrazione giovanile prosegue massiccia. Oltre 100 miliardi di risparmi del Sud emigrano ogni anno per essere impiegati dalle banche del Nord. Illudersi che la ZES unica possa fare miracoli, con o senza decontribuzione, e con risorse abbondanti per il credito di imposta, è un diversivo pericoloso: se assolverà al compito di mettere ordine e gerarchia nell’uso dei fondi per la coesione, realizzando una fisiologica programmazione Stato-Regione, il suo ruolo sarà utilissimo. E lo sarà ancor di più se consentirà ai porti meridionali di fare da detonatore alla reazione a catena dello sviluppo, che può innestare la combinazione logistica a valore, vie del mare, new manufacturing e zone doganali intercluse: una miscela che il PNRR, quasi fuori tempo massimo, può ancora, davvero tardivamente, innescare. Se il 2024 è pieno di dubbi primati del Mezzogiorno, conseguiti soprattutto per demerito della concorrenza, una perniciosa persistenza è invece l’assenza di un progetto semplice e chiaro che conferisca al Sud quella funzione che può svolgere per riconnettere il Paese sulla rotta del nostro ruolo Mediterraneo, non previsto dal Piano Mattei.