I primi, timidi, segnali positivi tornano anche al Sud dopo 7, lunghissimi, anni di crisi ininterrotta: il primo, simbolico, aumento dell’occupazione (+0,8% nel primo trimestre 2015 rispetto all’anno precedente) è il più recente. Altrettanto significativo è il dato sull’utilizzo della Cassa Integrazione, sostanzialmente dimezzato rispetto allo stesso periodo del 2014. Siamo ben lontani dal valore del 2007, ma si tratta di un segnale abbastanza chiaro di stabilizzazione dell’economia meridionale, come lo è il buon andamento del fatturato per le imprese meridionali di medie dimensioni: segnali che sembrerebbero indicare il progressivo arrestarsi della caduta e l’avvicinarsi di una possibile inversione di tendenza. Anche perché resta alta la voglia di fare impresa al Sud: il saldo positivo tra imprese cessate e iscritte raddoppia tra il 2013 e il 2014, con quasi 6.000 imprese in più, soprattutto grazie alla sensibile riduzione delle cessazioni (quasi 8.000 in meno). E resta alta soprattutto tra i giovani meridionali: nel 2014 oltre 226.000 imprese meridionali sono condotte da giovani, pari al 40,1% del totale. Inoltre, aumentano le imprese meridionali “in rete” (oltre 2.800 a luglio 2015), e le società di capitali (+5% rispetto al 2014), in maniera più robusta rispetto al resto del Paese (anche se su numeri che restano più contenuti).
Le società di capitali
Le società di capitali vedono aumentare, negli anni più recenti, fatturato e margini come ha mostrato il recente Rapporto Confindustria Cerved, lasciando intravedere un positivo processo di irrobustimento in corso. Il calo dei protesti (ritornati in quasi tutte le regioni del Sud ai livelli del 2007) e lo stabilizzarsi delle procedure fallimentari sono ulteriori segnali di “normalizzazione” da non trascurare.
Spesa turistica in salita
In positivo, uno dei dati forse più significativi del 2014, è l’incremento delle presenze e della spesa turistica nelle regioni meridionali, in particolare di stranieri (+700.000 tra il 2013 e il 2014), in gran parte in Sicilia, regione che fa registrare un vero e proprio exploit aumentando di circa 1/3 il numero di viaggiatori stranieri, anche grazie all’incremento del traffico dei tre principali aeroporti isolani e del porto di Palermo. Parallelamente, aumenta di quasi mezzo miliardo di euro la spesa dei turisti stranieri, aumento che copre circa metà dell’intero incremento fatto registrare dal Paese nel suo complesso. Allo stesso modo, cresce (al Sud più che al Nord) la fruizione dei contenuti culturali, segnale di un progressivo miglioramento della situazione economica, ma anche delle grandi potenzialità dell’industria culturale al Sud, che con le sue quasi 120mila imprese, vanta oltre 1/4 dell’intera dotazione nazionale.
Investimenti ancora in calo
I molteplici segnali positivi migliorano prospettive e aspettative, ma non ribaltano la situazione descritta nell’Indice sintetico dell’economia meridionale, aggiornato da Confindustria e SRM su base semestrale, che fotografa le principali variabili economiche a fine 2014. A fine 2014 l’indicatore resta sui minimi, portandosi ben al di sotto del valore registrato nell’anno base 2007. A deprimere l’indice continua a essere, soprattutto, il calo degli investimenti pubblici e privati, diminuiti su base annua di oltre 28 miliardi di euro tra 2007 e 2014, cioè di oltre il 35%.
Export, segnali contrastanti
Dalle esportazioni vengono segnali contrastanti. A fronte di una consistente crescita nel Centro-Nord tra il 2007 e il 2014 (+11,4%), le regioni meridionali fanno registrare un calo (-2,2%) dal picco di 46,4 miliardi di euro registrato nel 2012, ai 40,6 miliardi nel 2014. Nell’ultimo anno la polarizzazione che caratterizza l’export meridionale si rafforza: torna, infatti, a calare l’export di acciaio e metalli (-15,8%) anche per la riduzione della produzione dell’Ilva di Taranto, e continua il calo dei prodotti petroliferi (-18,9%) e della gomma e plastica (-8,4%), mentre al contrario, sensibili progressi fanno registrare mezzi di trasporto (+17,3%), meccanica (+11,4%) elettronica (+9,8%) e agroalimentare (+8,7%).
Ombre sul credito
Contrastante è anche la situazione del credito: lo stabilizzarsi di impieghi, domanda e offerta di credito è sintomo di ritorno alla normalità, ma le sofferenze hanno ormai superato i 37 miliardi di euro (contro i 131 del Centro-Nord) e, tra 2013 e 2014, aumenta la divaricazione tra chi migliora il proprio rating e chi lo peggiora. Insomma, i segnali positivi iniziano a registrarsi con maggiore frequenza anche al Sud, ma sono ancora diffusi in maniera non uniforme tra i territori e tra le imprese. E ciò si ripercuote sulle speranze di ripresa. Secondo le previsioni del Centro Studi Confindustria, l’Italia dovrebbe, infatti, tornare a crescere nel 2015 (+0,8%) e in maniera più robusta (+1,4%) il prossimo anno, ma la risalita sarà più “lunga e difficile” soprattutto nel Mezzogiorno, dove i ritmi di crescita sono stati, negli ultimi anni, strutturalmente più bassi di quelli medi italiani.
Ripresa entro il 2025
Applicando alle regioni meridionali il tasso di crescita stimato per l’intero Paese (cosa peraltro improbabile, dati i citati ritmi degli ultimi anni), il Sud è destinato a recuperare i livelli di ricchezza perduti dal 2007 (stimabili in oltre 50 miliardi di euro di Pil) non prima del 2025. Una prospettiva sfavorevole, che va contrastata proprio partendo dal dato di maggior debolezza: gli investimenti, vera chiave di ripartenza per l’economia meridionale. Sono soprattutto le risorse della politica di coesione, sia dei fondi strutturali sia dei fondi nazionali, a dover essere impiegate in maniera intensa e accelerata per favorire la ripresa degli investimenti, anticipando e accompagnando la crescita della spesa in conto capitale ordinaria (ipotizzata dal DEF), rispetto alla quale tali investimenti dovrebbero avere (non hanno mai avuto) carattere addizionale, e superando i vincoli del patto di stabilità europeo grazie a un utilizzo ampio della flessibilità.
Credito di imposta
Al tempo stesso, i fondi devono costituire l’occasione e lo strumento per consolidare e ampliare i segnali positivi che vengono dalle imprese: con meccanismi fiscali come il credito di imposta per nuovi investimenti e ampliamenti, o come il credito d’imposta per R&S; con strumenti di garanzia e di risk sharing per agevolare l’erogazione del credito; con strumenti mirati come i Contratti di Sviluppo per favorire investimenti di grandi dimensioni coerenti con la specializzazione intelligente dei territori meridionali; con il potenziamento dell’azione dell’Ice per favorire l’export delle imprese meridionali. La palla torna nelle mani delle istituzioni, a tutti i livelli. Gli ultimi mesi utili per portare a compimento il ciclo di programmazione 2007/13 e per l’esordio del nuovo ciclo 2014/20, che muove ora, con colpevole ritardo, i primi passi, sono, infatti, un banco di prova essenziale per il Governo, per i ministeri, per le amministrazioni regionali. Indirizzi e scelte strategiche sono nella loro sfera di responsabilità. Il primo passo, decisivo, spetta al Governo: assumere, una volta per tutte, il tema della riduzione del divario meridionale come prioritaria opportunità e necessità di interesse nazionale. E, di conseguenza, indicare con chiarezza la soluzione dei numerosi elementi di incertezza su governance, priorità e disponibilità delle risorse della politica di coesione che si sono moltiplicati negli ultimi mesi, e che rischiano di comprometterne gravemente l’efficacia. Il tempo è poco, e le speranze di ripresa del Mezzogiorno stanno tutte nella capacità di far partire, rapidamente, una politica che abbia davvero al centro le imprese.