Sud, l’ordinaria rivoluzione di Boccia

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Ci sono due righe tra quelle direttamente dedicate al Mezzogiorno nella relazione del neo presidente di Confindustria Vincenzo Boccia che potrebbero valere un tesoro. “La verità – si legge – è che al Sud non servono politiche straordinarie. Servono politiche più intense ma uguali a quelle necessarie al resto del Paese”.

È un arretramento rispetto a chi chiede più attenzione, più investimenti, più soldi? In apparenza, sì. Nei fatti è l’esatto contrario perché se tra le leggi nazionali ordinarie da rispettare e potenziare includiamo anche la famigerata riforma sul federalismo fiscale firmata da Calderoli, allora ci sarà da divertirsi (è un eufemismo).

Nel lontano 2009, per chi ne avesse perso il ricordo, il cattivissimo e anti meridionale ministro della Lega aveva accettato di inserire nel complesso normativo che porta il suo nome un fondo di perequazione utile a pareggiare, per quanto possibile, l’evidente disparità di trattamento riservata alle diverse aree del Paese.

Forzando una vocazione personale tutta nordista, Calderoli mostrava di capire che bisogna offrire anche al Sud un accettabile livello di prestazioni nel campo dei diritti fondamentali come assistenza, sanità, scuola, università, sicurezza e perfino migliorare le dotazioni infrastrutturali senza le quali non c’è sviluppo che tenga.

Dunque, prima e senza esitazione il Mezzogiorno ha diritto a ricevere e usare i fondi nazionali che gli spettano per evitare che sia abitato da cittadini di serie B o C come la nostra Costituzione mai vorrebbe. Poi, per recuperare la distanza dalle zone ricche, s’industrierà a utilizzare al meglio i finanziamenti europei straordinari.

La proposizione è facile facile. Che cosa è accaduto, invece? I trasferimenti ordinari non si sono più visti. Spariti, scomparsi. Non pervenuti anche se dovuti in base a una serie di parametri che la meritoria Svimez aveva contribuito a costruire. E tutta la recente storia del Mezzogiorno è stata scritta con la retorica dell’Europa.

Anche sotto il profilo dei volumi i conti non tornano. Per popolazione e territorio, il Sud avrebbe diritto a ricevere una fetta tra il 35 e il 40 per cento della torta. È molto se la porzione arriva al 25. Il che vuol dire che c’è una voragine da colmare misurabile in cinque o sei volte l’improbabile tappabuchi dei finanziamenti europei.

I meridionali – i più furbi del mondo se presi uno a uno ma completamente incapaci di badare a se stessi se considerati nell’insieme – hanno accettato di farsi giudicare sull’utilizzo dei fondi strutturali, così lontani dalla cultura e dalla capacità amministrativa installata, finendo col recitare la parte degli incapaci e dei cialtroni.

Ora di cialtroni e incapaci il Sud se ne cade. Ma è anche vero che l’intero apparato politico-burocratico ha dovuto confrontarsi con mentalità e regole, da quelle scaturite, lontane mille miglia dalla propria tradizione e sensibilità. Insomma, l’incontro tra le due culture non è stato dei più fortunati e ne paghiamo le conseguenze.

Per farla breve, i 10/12 miliardi l’anno destinati dall’Unione alle regioni meridionali per ciascuno dei sette anni del programma 2014-2020 sono una piccola quota delle risorse che spetterebbero al Sud se si rispettasse la leghista legge del cattivo Calderoli. Se Boccia intendeva dire questo, beh, ne vedremo delle belle…