Sud e Lavoro
uguali sono

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Mezzogiorno e (non) Lavoro in Italia sono la stessa faccia della stessa medaglia. I termini si sovrappongono perché è qui che si consuma il misfatto di un’economia allo stremo, condizionata dal Mezzogiorno e (non) Lavoro in Italia sono la stessa faccia della stessa medaglia. I termini si sovrappongono perché è qui che si consuma il misfatto di un’economia allo stremo, condizionata dal sommerso e dalla criminalità, incapace di trasformare in un sistema virtuoso le buone poche eccezioni che pure ci sono. La distanza con il Nord in termini di ricchezza e occupazione cresce sempre di più nonostante la crisi abbia picchiato con forza anche lì. Non si tratta di essere pessimisti né di vestirsi da gufi. La realtà è questa e tutti i numeri concorrono a dimostrarla nonostante buone pratiche e intenzioni migliori. Per festeggiare degnamente il Lavoro si dovrebbe dunque festeggiare il Mezzogiorno anziché fargli la festa come invece puntualmente accade. Neanche per cattiveria. Più per ignoranza del problema, pregiudizio, forse oggettiva incapacità di azione. Il risultato comunque non cambia ed è con questo che dobbiamo fare i conti. I lettori del Denaro e gli amici che ci seguono nelle diverse iniziative che cerchiamo di proporre dovrebbero sapere che mercoledì 29 aprile, appena qualche giorno fa, abbiamo incontrato alla Camera una delegazione dell’Intergruppo parlamentare per il Sud con il quale abbiamo avviato un confronto che vorremmo diventasse costante. Con noi la Fondazione Matching Energies presieduta da Marco Zigon e l’economista Paolo Savona in rappresentanza dei tanti attori grazie anche ai quali abbiamo redatto il Manifesto delle 3E (Economia Etica Estetica) e gli otto punti “non convenzionali” che lo accompagnano come nostro contributo alla discussione. Il confronto con i deputati meridionali, che hanno mantenuto l’impegno nonostante l’incombente voto sulla fiducia, ha rivelato una verità che si sospettava: il grado di coesione tra i diversi partiti e i singoli esponenti è troppo fragile per poter garantire quella massa critica necessaria a essere ascoltati e presi sul serio. Da troppo tempo, forse, si cammina ciascuno per conto proprio in una sterile pluralità di debolezze. La coscienza che le cose debbiano cambiare e che un paese spaccato in due non è presentabile sulla scena della competizione internazionale è comune a tutti.Ma ilmodo di porvi rimedio appare timido. È come se in fondomancassero forza e volontà perché la colpa del declino è anche nostra. Anzi, soprattutto nostra. E dopo tanti errori e malversazioni, tanti soldi sprecati e fondi nemmeno utilizzati, non si ha il diritto di chiedere ancora, di alzare la voce, pretendere la giusta fetta della torta. E’comprensibile. E infatti per rimediare ad anni di politiche sbagliate perché poco coraggiose e sempre monche si dovrà avere l’accortezza di agire su tutti i tasti disponibili. La cacofonia deve diventare armonia in un gioco di dare e avere che attribuisce e richiede chiare responsabilità. Il successo si può raggiungere in tanti modi, anche attraversomolti fallimenti. L’importante è imparare dalle esperienze passate e non arrendersi.