Strattonata e picchiata dal padre, bimba di due mesi in coma. Intervengono i Servizi Sociali

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di Maria Rosaria Mandiello 

“Volevo solo farla giocare”, alla fine dopo ore di interrogatorio ha ceduto il padre della piccola poco più di tre mesi, in coma con un trauma cranico e alcune costole rotte. “Piangeva, non sapevo come farla smettere” ha detto al Pubblico Ministero. “Forse l’ho stretta in modo troppo energica”, ha raccontato il papà per giustificare le fratture alle costole della piccola. Ha confessato anche di averle fatto sbattere la testa contro il comodino, quando l’ha riposta nella culla. I genitori della piccola, poco più che trentenne lui, siciliano, con un lavoro saltuario come imbianchino, lei 28 anni piemontese, residenti a Stroppiana, in provincia di Vercelli, secondo quando si apprende hanno portato la piccola all’ospedale di Torino lo scorso venerdì. Ma non era la prima volta. Allora il padre aveva detto che era “caduta” mentre la teneva in braccio. La seconda volta invece la piccola aveva un’infiammazione. Al terzo ricovero la piccola si è presentata da subito ai medici in gravi condizioni, sono così scattate le indagini sulla famiglia: madre, padre e nonna. Non è chiara la dinamica, il papà non è stato in grado di ricostruirla, anche se ora è indagato a piede libero per lesioni aggravate, ma gli inquirenti continueranno ad indagare sul resto della famiglia. In quanto l’origine della condotta può risiedere non solo nello stato soggettivo di chi l’ha posta in essere, ma anche nelle condizioni di vita del nucleo familiare, particolarmente problematico. La conferma delle indagini estese all’intero nucleo familiare è arrivata anche dalla Questura di Vercelli. Secondo quanto si apprende la famiglia della bambina non è particolarmente “disagiata” ma era già finita nel mirino dei Servizi Sociali perché aveva dimostrato “atteggiamenti immaturi”. Non compravano il latte in polvere per la bambina ma andavano in giro con l’ultimo modello di cellulare. Ora la situazione è presa in esame dal Tribunale per i Minorenni. Ma il caso esula dalla sola cronaca nera e sfocia nel ruolo professionale, umano e civile dei medici e degli operatori ospedalieri definiti pubblici ufficiali e come tale hanno l’obbligo di denuncia, l’art. 361 del codice di procedura penale, che mira a far sì che la notizia di reato giunga a conoscenza dell’organo competente all’esercizio dell’azione penale. Allora ci si chiede: perché nelle due volte precedenti in cui la piccola è stata portata in ospedale nessuno abbia segnalato, violando così l’obbligo di segnalazione? Forse se la segnalazione del sospetto reato, così come riporta la norma che investe gli operatori sanitari dipendenti o convenzionati sarebbe arrivata prima evidentemente la famiglia sarebbe stata investita dalle indagini e supportata nella responsabilità genitoriale, che senza dubbio dai comportamenti che attuano, per loro è totalmente sconosciuta. I genitori avrebbero bisogno di un sostegno alla genitorialità che li aiuti a comprendere e migliorare la relazione con la bimba, gli stili educativi e comunicativi in famiglia per favorire una crescita migliore della piccola. Questo forse poteva essere un modo d’agire se le segnalazioni fossero arrivate in tempo e se si fosse agito immediatamente, oggi, lo scenario cambia: il Tribunale per i Minorenni potrebbe decidere per l’allontanamento della piccola dal nucleo familiare, anche se tutto dipenderà dalle indagini che gli inquirenti stanno svolgendo in queste ore e che investono l’intera famiglia, compresi i nonni, per cercare le origini del malessere familiare e dei comportamenti messi in atto. Insomma la vicenda è destinata a continuare e a spese di una bambina di soli tre mesi ricoverata in gravi condizioni, seppur le sue condizioni migliorano, che ha il solo “difetto” di chiedere amore e attenzioni, come tutti i neonati e tutti i figli.