Storie di guappi e femminielli, Monica Florio riporta alla luce frammenti della Napoli che fu

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di Fiorella Franchini

La storia di Napoli e del popolo napoletano, con i suoi eventi, i suoi luoghi, e i suoi personaggi più o meno noti, si dispiega davanti agli occhi come una pellicola colori, talvolta, in bianco e nero. Una rievocazione che tesse un’infinita tela di racconti che in molti hanno provato a rappresentare senza, tuttavia, riuscire a trovare un senso compiuto. Napoli resta un intreccio frammentario, e da questa trama, Monica Florio, giornalista e scrittrice, nel suo saggio Storie di guappi e femminielli, edito da Guida, fa emergere alcuni frammenti dell’universo partenopeo. Realtà che l’autrice tratteggia, sfrondandole del loro colorito oleografico per proporle nel loro aspetto etnografico, quale rappresentazione di un insieme complesso che include saperi, credenze, arte, tradizioni, morale. Un approccio antropologico personalizzato che riconosce il guappo e il femminiello, come persone, affermandone l’ontologica dimensione spirituale. Sono l’espressione di una cultura e di un mondo ormai scomparso, rappresentativi della storia del costume di Napoli: se il guappo incarna la violenza della città, il femminiello è il simbolo del suo lato più sofferto e umano. Attraverso un‘attenta ricostruzione basata sui fonti giornalistiche, musicali, teatrali, letterarie, Monica Florio ricostruisce l’insieme dialettico dei patrimoni psichici esperienziali e individuali costituitisi, anche in rapporto all’ambiente sociale, nel quadro di una società storicamente determinata, quella del microcosmo del vicolo. Un “saggio narrato” in cui il ricco materiale è presentato come un coinvolgente racconto che guida il lettore in una lunga analisi dell’evoluzione delle figure prese in esame. Uno studio che analizza elementi della cultura napoletana con stile scorrevole, personalizzato, non pedante né noioso, chiaro sulle fonti e sui documenti, curato nella scrittura e completo nel contenuto. Un approccio sobrio che accoglie i contributi dell’antropologia, della psicologia e della sociologia, in cui si riconoscono la lezione di Isaia Sales e Paolo Valerio e il contributo dello psichiatra Manlio Converti. Nonostante la tematica sia stata largamente pubblicizzata, l’indagine si tiene distante da ogni deriva folcloristica, puntando l’attenzione sulla documentazione di un fenomeno antropologico attestato. Le trasformazioni sociali ed economiche dell’ultimo ventennio, quelle locali, pensiamo al terremoto del 1980 e internazionali, come la globalizzazione mondiale, mutando i contesti collettivi, hanno modificato queste espressioni culturali. Il guappo, che Vittorio Gleijeses vedeva quasi come un «cavaliere errante», », non debole come don Chisciotte né di cartone come quello di Raffaele Viviani, si è trasformato in camorrista; all’umanità del femminiello si è sovrapposta la più diffusa realtà transgender o transessuale. Entrambi rappresentano un’identità culturale e sociale peculiare e storicamente ancorata nel tessuto urbano napoletano, ambedue hanno perso la propria identità, il primo scantonando nella violenza più cinica, l’altro accentuando il proprio isolamento sociale. Nella tradizione campana, infatti, il femminiello riusciva a godere di una posizione relativamente privilegiata, era una figura rispettata, benevolmente canzonata, addirittura un portafortuna ,che partecipava ad alcune manifestazioni popolari, a volte anche di ambito religioso come la “Candelora al Santuario di Montevergine ad Avellino” o la “Tammurriata” alla festa della Madonna dell’Arco. Oggi quel racconto di Napoli ha assunto toni pulp, caratterizzati da efferatezza e dilagante omofobia, per gli studiosi e per gli scrittori sono nati nuovi esemplari da indagare. D’altra parte scriveva Marc Augè: “L’antropologo parla di quel che ha sotto gli occhi: città e campagne, colonizzatori e colonizzati, ricchi e poveri, indigeni e immigrati, uomini e donne; e parla, ancor più, di tutto ciò che li unisce e li contrappone, di tutto ciò che li collega e degli effetti indotti da questi modi di relazione.” Alla scrittura, resta il compito di approfondire e tramandare.