Storia diplomatica: Roberto Taparelli d’Azeglio

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È morto il re e se esiste qualcosa in cui si registra la regola biblica che le colpe dei padri ricadono sui figli, il caso più eclatante è proprio quello che è successo con la famiglia Savoia. “È il più bel giorno della mia vita”. Scelse naturalmente Napoli Vittorio Emanuele di Savoia, “la mia Napoli”, come ripetè nel suo discorso, per rientrare in Italia con la sua famiglia dopo 57 anni. Era il 15 marzo 2003. Era stata l’ultima città italiana prima dell’esilio – era il 5 giugno del 1946 quando salì a bordo di un’imbarcazione alle spalle di Castel dell’Ovo. E, grazie a una legge approvata il 15 luglio del 2003, si concluse così l’esilio dell’ex famiglia Reale scattato con l’approvazione della nostra Costituzione. Con una movimentata tre giorni fatta di saluti e contestazioni. Vittorio Emanuele, appena scomparso e nato proprio a Napoli nel 1937 – non a caso tra i suoi nomi c’era anche Gennaro, tra i titoli “principe di Napoli” – era figlio di Umberto II, ultimo re d’Italia. In città si svolgerà prossimamente una celebrazione in suffragio. Il inonno Vittorio Emanuele III venne alla luce nel Palazzo Reale di piazza del Plebiscito: la cosiddetta Sala della Culla è attualmente lo studio della direttrice della Biblioteca Nazionale (l’stituto occupa un’ala del PalazzoNel giorno del rientro dall’esilio, la famiglia atterrò a Napoli a Capodichino poco dopo le 15: con Vittorio Emanuele, il figlio Emanuele Filiberto e la moglie Marina Doria. “Torno in quella città – disse Vittorio Emanuele – in quella Napoli sempre amata, grazie alla volontà del mio Parlamento, una volontà che ha portato finalmente ad una revisione legislativa tanto attesa”. L’accoglienza fu un bagno di folla, con circa 200 monarchici fuori gli Arrivi in aeroporto a gridare “Viva il re” (che Vittorio Emanuele, già “principe di Napoli” e “Sua Altezza Reale” non è mai stato). Accanto ai “riconoscenti” ai Savoia, i filoborbonici che protestarono, non per condannare il rientro dei Savoia in Italia ma la scelta di avere come prima tappa Napoli: “La fine della nostra storia come capitale – dicevano – fu causata da loro”. Vittorio Emanuele fu inevitabilmente travolto dalla commozione visitando gli ampi saloni di quella che era stata la sua casa, a Palazzo Reale. Emozioni che lo portarono a dire al momento della partenza per Ginevra “di aver lasciato il cuore a Napoli”. Tanta la commozione per l’erede di casa Savoia, ripercorrendo quel balcone dove da piccolo correva ammirando il golfo di Napoli e rivedendo la stanza dove era nato. Rinviò la partenza di 5 gorni. “Papà si è molto commosso – rivelò ai cronisti Emanuele Filiberto – ascoltava ogni cosa e si ricordava soprattutto le passeggiate fuori al balcone della sua stanza. E’ stato anche molto bello ed emozionante vedere il piano superiore, dove non c’è più la sala del trono”. “Vedere la stanza dove sono nato – confessò Vittorio Emanuele – mi ha dato un’ emozione indescrivibile, mi ha riportato alla mente tanti ricordi”. Nel pomeriggio una visita all’Istituto Nazionale Tumori della Fondazione Pascale, poi tappa immancabile al Duomo. Anche qui, una schiera di sostenitori, alla quale però si aggiunse una compagine di manifestanti contrari alla famiglia reale. La famiglia Savoia è poi tornata di frequente a Napoli, spesso per il prodigio della liquefazione del sangue di San Gennaro. Il miracolo del patrono del considerato dal popolo il vero re di Napoli. Bandiere a mezz’asta al Circolo Savoia in segno di lutto. “Il Circolo deve il suo nome alla famiglia reale, che lo salvò dallo scioglimento con un importante contributo economico alla fine dell’Ottocento. Le saremo per sempre grati, d’altronde il nome dei Savoia è in ogni angolo del circolo e nel 1997 il corpo sociale ha spinto fortemente per tornare all’appellativo ‘Reale’, che era stato eliminato dopo il referendum del 1946. Anche la nostra bandiera è blu Savoia”, ha affermato Fabrizio Cattaneo della Volta, presidente Circolo Savoia. Il Console Generale. Omonimo di nascita ma non di carriera fu (Torino 1816 – Roma 1890). Erede di una nobile famiglia piemontese, dal 1848 rappresentò a Londra, quale consigliere di legazione, il Regno di Sardegna. L’anno successivo, dopo la fine della prima guerra d’indipendenza, fu inviato a Parigi, subentrando a Gioberti, per condurre le trattative con l’Austria sulle condizioni della pace. Tornato a Londra, dove rimase per circa un ventennio, fu nominato nel 1850 ministro plenipotenziario. Si attivò per assicurare al Piemonte i consensi dei governi inglesi: la maggiore intesa venne raggiunta negli anni 1855-56, durante la guerra di Crimea, mentre la successiva alleanza franco-piemontese rese più difficile la sua azione diplomatica. Rimasto in carica anche dopo la proclamazione del Regno d’Italia, concluse la missione londinese nel 1868, e con essa l’attività diplomatica. Tre anni dopo venne nominato senatore. Ultimo esponente della famiglia, ne fu anche storico: scrisse infatti il volume Une famille piémontaise au moment de s’éteindre (1884). Diplomatico (Torino 1816 – Roma 1890), Roberto Taparelli d’Azeglio fu l’erede di una nobile famiglia piemontese, dal 1848 rappresentò a Londra, quale consigliere di legazione, il Regno di Sardegna. L’anno successivo, dopo la fine della prima guerra d’indipendenza, fu inviato a Parigi, subentrando a Gioberti, per condurre le trattative con l’Austria sulle condizioni della pace. Tornato a Londra, dove rimase per circa un ventennio, fu nominato nel 1850 ministro plenipotenziario. Si attivò per assicurare al Piemonte i consensi dei governi inglesi: la maggiore intesa venne raggiunta negli anni 1855-56, durante la guerra di Crimea, mentre la successiva alleanza franco-piemontese rese più difficile la sua azione diplomatica. Rimasto in carica anche dopo la proclamazione del Regno d’Italia, concluse la missione londinese nel 1868, e con essa l’attività diplomatica. Tre anni dopo venne nominato senatore. Ultimo esponente della famiglia, ne fu anche storico: scrisse infatti il volume Une famille piémontaise au moment de s’éteindre (1884).