Storia consolare: Lucio Cornelio Cinna

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Lucio Cornelio Cinna Console prese parte alla guerra sociale e, dopo la marcia su Roma di Silla, ottenne nell’87 a.C. il consolato. Poco dopo la partenza di Silla ne divenne un fiero oppositore, per cui fu cacciato da Roma, ma, alleatosi con Gaio Mario, ritornò nella città, dove iniziò a perseguitare i patrizi e i nobili. Rieletto console per l’86 a.C. insieme a Mario, dopo la morte di quest’ultimo divenne di fatto il padrone della repubblica e mantenne il consolato per altri due anni di seguito, fino all’84 a.C.. Durante il suo regime si fece fautore delle politiche riformiste dello schieramento dei populares. Dopo che l’esercito di Lucio Valerio Flacco fu passato nelle file di Silla, il quale aveva gestito una guerra contro Mitridate VI del Ponto e stava ritornando per prendere il controllo della Repubblica, Cinna pianificò una campagna contro di lui, ma nel corso della preparazione fu ucciso da alcuni soldati ammutinati ad Ancona.  Di Cinna si sa meno che di qualsiasi altro membro di spicco delle fazioni politiche nell’epoca delle guerre civili. Si considerano più verosimili le testimonianze sulla personalità di Cinna lasciate dai giovani contemporanei di quest’ultimo, primo fra tutti Marco Tullio Cicerone: ma quest’ultimo di Cinna considera solo l’aspetto crudele, affiliato perlopiù agli orrori del terrore mariano, e ciò entra a far parte di una tradizione fondata da scrittori a favore di Silla che tendevano a demonizzare i protagonisti dello schieramento dei populares e ad esagerare la portata del massacro attuato da Mario e Cinna. Alla vigilia della prossima guerra civile, alla fine del 50 a.C., Cicerone scrisse che Cesare, se dovesse sconfiggere Pompeo, “non sarà più clemente nella purga dei cittadini più illustri di quanto lo fosse stato Cinna”, perché secondo lui, durante il regno di Cinna, “tutti i diritti e ogni dignità furono violati nella repubblica” e la morte o la dipartita di un certo numero di persone illustri portarono ad una situazione tale che Publio Antistio, un dicitore mediocre, divenne l’oratore più importante in città. Diodoro Siculo fa denotare un certo disprezzo nei confronti di Cinna per il giuramento pronunciato e l’enormità dei crimini che aveva commesso; nella sua opera Bibliotheca historica, la morte di Cinna diventa una meritata punizione di Nemesi, la dea della giustizia distributiva. Plutarco, nella scena del giuramento “di fedeltà” a Silla, cerca chiaramente di sottolineare la depravazione di Cinna, che non mantenne la parola data. Lo chiama sconsiderato e afferma che già all’inizio della sua lotta con Gneo Ottavio “lottò per la tirannia”. Appiano riferisce che Cinna iniziò a difendere i diritti degli italici “come dicono” a seguito di una tangente di trecento talenti, specificando inoltre che i suoi sostenitori, già prima dello scoppio dei combattimenti di strada a Roma dell’87 a.C. erano armati, e che Gneo Ottavio era sostenuto dalla “parte migliore del popolo”. Velleio Patercolo credeva che l’abrogazione della carica di console di Cinna nell’87 a.C. fosse meritata, tuttavia, ne ha commentato la morte con le seguenti affermazioni: