Stop alle transizioni?

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in foto Roberto Cingolani, ministro della Transizione ecologica

di Ugo Calvaruso

Con l’avvento e la diffusione del Covid-19 negli ultimi anni il dibattito pubblico si era concentrato, in modo quasi totalizzante e a un certo punto unidimensionale e ripetitivo, sulla pandemia e sul bisogno di ripresa. L’Europa ha stanziato poi diversi miliardi attraverso il Next Generation EU, lanciando la sfida di una transizione tecnologica ed ecologica a tutti gli stati europei. Con lo scoppio della guerra in Ucraina, invece, l’attenzione dei media e delle politiche degli Stati europei sembrano che stiano nuovamente cambiando focus, assumendo sempre di più una logica del breve periodo, senza alcuna visione prospettica, e una modalità totalizzante che a un certo punto diventa anche ripetitiva.
Le missioni europee e gli obiettivi di cambiamento sembrano affievolirsi ogni giorno di più. “La clamorosa iniziativa assunta dai fondi pensione pubblici e privati di sottrarre miliardi di dollari dei loro investimenti al settore dei combustibili e industrie connesse per reinvestirli nell’economia verde”, di cui parlava già da diversi anni il noto sociologo americano Rifkin sembra far fatica ad andare avanti. Forse ci sono ancora tanti interessi sui combustibili fossili, che non favoriscono l’uso di fonti energetiche più pulite e lo sviluppo di sistemi produttivi e di consumo più sostenibili a livello ambientale, e non solo. Inoltre, le nostre politiche dell’emergenza, che ormai durano da diversi anni, sviluppatesi anche prima della pandemia, non riescono ad affrontare in modo continuativo un problema globale e persistente, quale ad esempio il “mero” cambiamento climatico. In questo modo è quasi impossibile iniziare dei processi di trasformazione, soprattutto se radicali.
Intervenire sulle emergenze è una cosa ovvia, ma bisogna sempre avere una visione di lungo periodo, la quale ci aiuta a pensare o semplicemente immaginare un dopo, un domani. Altrimenti si rimane appiattiti sul presente, che continua a cadere a pezzi, senza costruire alcun futuro.
Secondo Rifkin, per poter iniziare queste trasformazioni bisogna investire in modo serio sui mezzi di comunicazione, sulle fonti energetiche e sui meccanismi di trasporto. Infatti, il sociologo americano afferma che: “Senza comunicazioni non si può gestire l’attività economica né la vita sociale. Senza energia non è possibile alimentare né l’attività economica né la vita sociale. Senza trasporto e logistica il movimento dell’attività economica e della vita sociale è impossibile”. A questi tre elementi ne aggiungerei altri due. Il primo è quello della ricerca, tassello spesso dimenticato, mentre il secondo è quello di garantire ai paesi meno sviluppati di iniziare anche loro questa trasformazione al fine di non allargare sempre di più la forbice tra loro e i paesi più sviluppati.
Ovviamente la guerra in Ucraina sta ridisegnando molti equilibri e ridefinendo molte logiche. Ma dovremmo iniziare ad affrontare queste continue emergenze con una nuova modalità, che guardi anche al futuro. Questo almeno per cercare di evitare i ricorsi storici e iniziare realmente delle transizioni.