Stato e mercato, usi e (soprattutto) abusi dell’esempio americano

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Il bazar delle Follie reclama a gran voce che la mano pubblica sia più generosa nel destinare denaro alla ricerca scientifica. È con voce roboante che al Bazar ricorre spesso la parola “Pentagono”. Il richiamo è al Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America. I proprietari del Bazar, i nostri decisori politici, esaltano le magnifiche sorti e progressive della politica pubblica per l’innovazione. Con lo sguardo rivolto al Pentagono, osservano le ricadute positive sulla società civile di una forte spesa pubblica per la ricerca scientifica a scopi militari, senza la quale “l’iPhone non avrebbe mai visto la luce” – questo è il leitmotiv che risuona nelle sale del governo. Ma che ne sarebbe del flusso di denaro destinato alla ricerca se passioni, motivazioni e attitudini delle persone à la Steve Jobs non fossero riconosciute e coltivate, oppure, peggio, se sacrificate sull’altare di rigorose regole burocratiche che impediscono di ottenere il massimo di sviluppo imprenditoriale dalla ricerca scientifica? Che dire delle numerose licenze necessarie e del ricorso agli accordi di non concorrenza, come riferito dalla Fondazione Kauffman nel caso degli Stati Uniti e come lo stesso vale, con l’aggravante delle cervellotiche procedure di regolamentazione, per quanto riguarda l’Italia? Quando poi gli incentivi statali sono concessi per gli investimenti in innovazione, l’intervento pubblico ha tempi di attuazione che non riescono a tenere il passo con la Grande Trasformazione. Così, i decisori politici avendo pesantemente sovvenzionato i pannelli solari – come ha ricordato l’economista Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera del 14 giugno 2015 (“Mercato e stato. Tre domande”) – hanno creato a favore dei produttori beneficiari grosse rendite pagate dai consumatori. Nel frattempo nuove tecnologie, come la vernice fotovoltaica adoperata sui tetti, rendono obsoleta la vecchia tecnologia promossa dalle sovvenzioni pubbliche. Di conseguenza – come ancora sottolineato da Giavazzi – “i pannelli sovvenzionati dallo Stato rimarranno lì per vent’anni e nessuno si è chiesto quanto costerà e che effetti ambientali produrrà la loro eliminazione”. L’esclusivo dipartimento del Bazar delle Follie riservato alla raccolta di risorse pubbliche per la ricerca vieta l’ingresso ai non addetti ai lavori. Resta quindi fuori l’imprenditorialità che se coniugata con la ricerca avrebbe più chance di produrre vantaggi per entrambe.