di Antonluca Cuoco
Viviamo tempi di pandemia: tutto è cambiato ed il covid ha messo in ginocchio persone ed imprese, anche sportive. Ne parliamo oggi con Mauro Berruto, già Ct della Nazionale di pallavolo maschile, ex amministratore delegato della Scuola Holden di Torino, ed oggi nella segreteria del Pd come responsabile dello Sport.
L’accelerazione che la crisi pandemica ha determinato sulle realtà organizzative sportive ha mostrato inequivocabilmente storiche criticità italiane. Quali sono le due idee da sviluppare per superare questa prova e quali sono le due cose da evitare?
La due cose da fare sono: un grande intervento di sostegno a un mondo che sta letteralmente agonizzando e la costruzione di un modello nuovo. Non sono un assistenzialista, ma oggi servono risorse necessarie a tenere in vita quella rete di associazioni su cui è caduto un meteorite: risorse azzerate (finanziatori, sponsor o provenienti dalle famiglie) e impianti chiusi. Se questo “paziente” non sopravvive, la seconda idea non servirà a nulla. Se invece riusciamo a tenerlo in vita, la seconda cosa da fare è cambiare un modello: lo sport di base non potrà essere finanziato, come oggi, esclusivamente da denaro privato. Occorre determinare e sostenere un diritto allo sport che preveda politiche pubbliche. In particolare, le interazioni con il mondo della scuola e con quello della salute non possono prescindere da politiche pubbliche. La cosa da non fare, invece, è una sola: evitare di pensare che rimettendo indietro le lancette tutto riparta come prima.
L’impatto psicologico sulle comunità di atleti e amatori – spesso giovanissimi – sarà una cicatrice profonda, come curarla?
Avremo un grande compito: rimettere in moto una generazione intera che ha visto la sua vita sportiva “sospesa” per un anno. Dobbiamo necessariamente curare questa ferita, perché se non lo faremo ne pagheremo il conto. Non solo in termini psicologici, ma anche con un grande impatto in termini di costi per la salute. Non è una mia opinione: c’è la letteratura scientifica lì a dimostrarlo. Uno dei mondi per curare questa ferita sarà alimentare la “cultura del movimento” che passa anche attraverso la possibilità di svolgere attività motoria “en plein air”. Occorrerà ridisegnare il paesaggio urbano per renderlo attrattivo e coerente rispetto alla pratica sportiva e alla cultura del movimento.
Guardando alla realtà ed ai numeri, possiamo dire che il calcio è l’unica Netflix naturale e globale del continente europeo, superando confini nazionali. La recente vicenda del tentativo di lancio di una Superlega ha creato molte discussioni. La gran parte delle critiche però sembra non aver focalizzato i punti più interessanti: mancanza di un rigoroso schema di fair play finanziario e di gestione dei vivai e selezione dei talenti (come Nba); ed il permanente schema di “club chiuso” (come l’eurolega). La “scossa” della Superlega può giovare ad un necessario processo di riforma e di rottura di rendite di posizione?
Il primo elemento che mi viene da considerare è che l’errore delle 12 squadre che hanno auto-determinato la nascita della Superleague sia stato di comunicazione. E aggiungo che quando si parla di sport, in particolare di calcio, si sta parlando di un tema profondamente connesso con degli aspetti culturali, non solo economici o finanziari. A un ipotetico tavolo di costruzione della Superleague sarebbe stati necessario invitare non solo esperti di finanza, ma anche sociologi, psicologi e antropologi. Detto questo è evidente che il calcio ha un problema strutturale che nessuno ad oggi ha voluto davvero risolvere. Credo che ci sia un’azione che sta a fondamento di tutte le altre: il contenimento dei costi.
I Giochi della XXXII Olimpiade si sarebbero dovuti tenere a Tokyo nel 2020: a causa della pandemia l’evento è previsto per questa estate 2021 anche se ancora lo scenario è poco chiaro. Queste Olimpiadi possono segnare, anche psicologicamente, un momento di riscatto e rilancio?
Nel momento in cui rispondo mancano 100 giorni ai Giochi e le incognite sono ancora tantissime. Romanticamente sarei il primo ad essere felice nel vedere il braciere accendersi a Tokyo: sarebbe il primo evento planetario dall’apparire della pandemia, un evento che – come suggerisce l’etimologia – ha riguardato e riguarda tutto il mondo. Io temo che sia fortissimo il rischio di vedere Giochi a porte chiuse, ciò che sarebbe l’antitesi del significato stesso dei Giochi. All’antica Olimpia arrivavano, proprio grazie alla tregua olimpica, gli atleti, ma soprattutto decine di migliaia di spettatori che attraversano la Grecia per vederli competere. Io mi auguro di cuore che tutto vada per il meglio, ma resta il fatto che questi saranno Giochi Olimpici davvero diversi e (spero) irripetibili.
Uno degli aspetti più drammatici e fallimentari della vicenda pandemica è stato quello della comunicazione: errori gravi e confusione fatale hanno contribuito ad alterare, peggiorandola, la percezione in tante persone rispetto alla vera via di uscita, ovvero il vaccino. In tutti gli ambiti delle nostre vite, anche quello sportivo, il prezzo che paghiamo è amarissimo. Per chi crede nella scienza e nella matematica, nella filosofia e nella forza della logica, il muro della narrazione da analfabetismo funzionale è troppo alto per schiacciare a terra la palla della lezione che la realtà e la razionalità ci mostrano?
Ne parlavo anche commentando il caso Superleague: la narrazione è uno strumento potentissimo, nel bene e nel male. È davvero incredibile come, nel momento della storia umana in cui più la scienza trova soluzioni e l’accessibilità al sapere è garantita come mai prima, siamo di fronte a vere e proprie sacche di “pensiero magico” drammaticamente pericolose per sé e per gli altri.
L’uomo è un animale narrante nel senso che l’esistenza della razza umana, e la sua sopravvivenza, passa anche attraverso la capacità di raccontarsi storie. Lo storytelling è uno strumento di trasmissione della conoscenza sin dalla antichità; l’Iliade e l’Odissea erano modi di trasmettere ad altri umani delle tecniche (tecniche di costruzione di navi, tecniche militari, tecniche su come si fa un funerale o una festa). Naturalmente se quelle tecniche non fossero state fuse in una storia avrebbero avuto una sopravvivenza più breve. L’idea del fondere concetti e saperi dentro delle storie è uno strumento potentissimo per trasmettere ad altri umani e può esser usato nel bene o nel male. Da questa pandemia ne usciamo anche consapevoli che la narrazione della realtà è parte stessa della realtà: il modo in cui noi raccontiamo le cose le fanno esistere o meno. Se impari tecniche di storytelling impari anche a difenderti dallo storytelling farlocco e dalle fake news.
Spero che l’indubitabile progressione dal piano vaccinale, che sarà il vero e unico motivo per cui ci metteremo la pandemia alle spalle, possa contribuire a cambiare una certa percezione sui vaccini. Abbiamo pagato un prezzo troppo alto, in termini di vite umane e in termini economici, per permetterci di non imparare questa lezione. Voglio essere ottimista!
@antonluca_cuoco