Spazio, fredde ma non troppo: quelle stelle che pulsano di vita

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Fredde, ma non troppo. Tracce di vita giunte fino a oggi. La ricerca esoplanetaria – cioè di pianeti non appartenenti al sistema solare, orbitanti dunque attorno a una stella diversa dal Sole – si e’ evoluta tantissimo negli ultimi trent’anni, tanto che oggi non si cerca piu’ soltanto di individuare nuovi pianeti, ma anche di caratterizzare quelli che si conoscono gia’, studiando la storia evolutiva della loro stella e analizzando piu’ a fondo l’ambiente circumstellare in cui si muovono. Si scopre così che anche alcune stelle generalmente considerate non adatte a originare la vita come la si conosce, potrebbero esserlo state in passato, quando erano più giovani. E’ quanto accade alle stelle di tipo M, secondo uno studio pubblicato in agosto su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society e guidato da Riccardo Spinelli dell’Inaf di Palermo, in collaborazione con l’Inaf di Brera (Merate), l’Università dell’Insubria e l’Infn sezione Milano-Bicocca. Un risultato che suona come una rivincita per questa classe di stelle, che costituiscono ben il 75 per cento delle stelle nella nostra galassia, e che sono state spesso considerate ben poco ospitali per i pianeti che le accompagnano. In una prima e lunga fase, cercare condizioni di abitabilita’ attorno a stelle diverse dal Sole coincideva con l’individuazione di pianeti in orbita all’interno della cosiddetta zona abitabile, una regione attorno alla stella all’interno della quale un pianeta potrebbe avere una temperatura adatta alla presenza di acqua liquida sulla sua superficie, elemento considerato fondamentale per la vita che si osserva intorno. Qualunque pianeta venisse scoperto orbitare attorno a una stella in questa zona veniva quindi classificato come “potenzialmente abitabile”.

Dal punto di vista osservativo, cercare pianeti in queste condizioni si è rivelato particolarmente promettente attorno a stelle di tipo M, un po’ piu’ piccole e piu’ fredde del Sole, con un’eta’ superiore a tre miliardi di anni. Ma l’abitabilita’ di un pianeta dipende anche da tanti altri fattori, come la presenza e la composizione della sua atmosfera, la sua attivita’ geologica e persino l’emissione ultravioletta che riceve della stella madre. “L’effetto della radiazione ultravioletta puo’ essere sia positivo che negativo per la vita come la conosciamo”, spiega a Media Inaf Riccardo Spinelli, dell’Inaf di Palermo, primo autore dell’articolo. “Diversi esperimenti hanno mostrato che una dose minima di radiazione ultravioletta sembra essere necessaria per la sintesi in soluzione acquosa di alcuni precursori dell’acido ribonucleico (Rna), una molecola fondamentale per la vita, mentre una dose troppo alta e’ negativa perche’ distrugge molte biomolecole. Partendo da questi presupposti – aggiunge – si puo’ definire una zona attorno alle stelle dove un pianeta puo’ ricevere un flusso ultravioletto sufficiente per innescare la sintesi dei mattoni fondamentali della vita, ma non troppo alto da distruggerli”. Un delicato equilibrio cosmico a cui contribuiscono diversi fattori, dunque. L’esistenza di una zona di abitabilita’ ultravioletta, come si intuisce dalle parole del ricercatore, era gia’ stata oggetto di un articolo pubblicato lo scorso anno dallo stesso autore. “In un precedente articolo – ricorda Spnelli – eravamo giunti alla conclusione che i pianeti attualmente scoperti attorno alle stelle M nella zona abitabile ‘classica’ non ricevono abbastanza radiazione ultravioletta dalle loro stelle per innescare la formazione dell’Rna. Un bias osservativo, diremmo in gergo, poiche’ le stelle M con pianeti in zona abitabile che conosciamo oggi sono stelle vecchie, con eta’ superiore a 3 miliardi di anni”.