Una domenica di maggio. Una domenica di sole tiepido, una promessa d’estate imminente. Una domenica piena di luce che spinge ad uscire di casa in cerca di tesori da scoprire, di bellezze più o meno nascoste che Napoli e tutta la Campania sanno offrire.
Restiamo a Napoli questa domenica e in pieno centro, a due passi dal meraviglioso lungomare, decidiamo di addentrarci nel sottosuolo, alla scoperta della Galleria Borbonica, un autentico gioiello riportato al suo splendore originario e reso fruibile grazie al lavoro di tanti volontari.
Scegliamo il percorso standard tra i quattro proposti. Il nome non è il più accattivante, rispetto a “Le vie della Memoria” o “Percorso avventura”, ma il nostro percorso si rivelerà davvero molto interessante e pieno di spunti, una vera scoperta.
Lo scavo della galleria nacque da un decreto con cui, nel 1853, re Ferdinando II di Borbone incaricò l’Architetto Errico Alvino di progettare un viadotto sotterraneo che rappresentasse un rapido percorso militare in difesa della Reggia, per le truppe acquartierate nella caserma di via Pace (attuale via Domenico Morelli), nonché una sicura via di fuga per gli stessi monarchi, visti i rischi che avevano corso durante i moti del 1848.
L’opera, ambiziosa ed imponente, fu realizzata totalmente a mano con picconi, martelli e cunei, e con l’ausilio di illuminazione fornita da torce e candele. Non mancarono ostacoli ed interruzioni, abilmente superate da Alvino che ad esempio, rasentando con lo scavo delle cisterne che rifornivano d’acqua la città, escogitò la costruzione di un ponte alto 8 m dal fondo della cisterna, con un piano di calpestio allo stesso livello dello scavo precedente, e si alzarono muri colossali in tufo e in laterizi per isolarsi da possibili accessi derivanti dalla presenza di eventuali ulteriori pozzi.
Lo scavo fu interrotto tre anni dopo, nel maggio 1855. La morte del Re nel 1859, e le vicende storico-politiche che investirono il suo successore Francesco II delle Due Sicilie, ostacolarono la ripresa dello scavo, che rimase così incompiuto.
Successivamente l’opera, considerata tutt’oggi un vanto dell’ingegneria borbonica, venne abbandonata e nel tempo vide utilizzi diversi: ricovero negli anni della Seconda Guerra Mondiale, Deposito Giudiziale Comunale, fino agli anni 70, dove veniva immagazzinato tutto ciò veniva recuperato da crolli, sfratti e sequestri. Auto e moto d’epoca, “Vespe” truccate sequestrate e qui ammassate, un’esposizione suggestiva e di grande interesse.
A colpire particolarmente la nostra attenzione fu l’utilizzo di questi ambienti nel periodo bellico quando, tra il 1939 e il 1945, la Galleria ed alcune ex cisterne limitrofe furono utilizzati come ricovero dei cittadini; vi trovarono rifugio tra i 5.000 ed i 10.000 napoletani, molti dei quali persero le case durante i numerosi bombardamenti subiti dalla città sia da parte degli alleati, prima, e in seguito dei tedeschi.
Qui la visita si fa intima, commovente a tratti. Ogni cosa racconta la vita in questi luoghi che furono ricoveri, case, speranza di salvezza. Un luogo pieno di poesia dove la Storia intreccia le storie della gente comune e la guerra appare in tutta la sua devastante crudezza e drammaticità.
Ascoltare il suono della sirena percorrendo questi luoghi è un colpo al cuore, non è difficile immaginare decine, centinaia di persone terrorizzate che si accalcavano sulle scale ricavate nel tufo, anziani, donne, bambini. L’allestimento all’interno della galleria ha riportato alla luce gli oggetti qui rinvenuti che raccontano quei momenti. Il posto di Pronto Soccorso, i bagni in prossimità di ogni accesso, le cucine improvvisate, le caffettiere, le carrozzine giocattolo delle bambine che qui trovarono rifugio. Tutto racconta la speranza, la voglia di vivere, il bisogno di normalità in una situazione che di normale non aveva niente. Poi ci sono le scritte sui muri che parlano di allarmi dati in pieno giorno e, su tutto, della speranza: “ NOI VIVI”, è inciso su una parete. Noi, qui, ammassati, disperati, diseredati, ma, nonostante tutto, vivi.
E’ un viaggio nel tempo e nella memoria il nostro percorso e davvero “standard” non rende l’idea delle straordinarie emozioni che è in grado di regalare.