Confermate dalla Cassazione le accuse di spaccio di cocaina dentro e fuori dalla caserma dell’Ottava brigata Garibaldi dei bersaglieri di Caserta, – con episodi di tangenti in coca ‘pagate’ ai commilitoni sanitari incaricati di fare i drug test – nei confronti di un caporalmaggiore condannato a 5 anni e due mesi e 30mila euro di multa, e della sua compagna, una soldatessa. La donna era stata condannata in primo e secondo grado a tre anni e sei mesi di reclusione e 20 mila euro di multa, adesso però la Cassazione pur confermandone il coinvolgimento nella vicenda – era suo il ‘drug test’ positivo all’uso di stupefacenti per alterare il quale si era fatto ricorso alla tangente in coca del valore di 200 euro – ha aperto alla possibilità che la sua condanna possa essere ridotta in un appello bis che dovrà valutare se le si possa concedere l’attenuante dello spaccio di “lieve entità”. Il beneficio è stato chiesto agli ‘ermellini’ dal legale della donna, l’avvocato Lorenzo Marcovecchio, e la Cassazione – sentenza 14510 della Sesta sezione penale – ha rilevato che la sua concessione “non è incompatibile con lo svolgimento di spaccio di stupefacenti non occasionale ma continuativa”. La Corte di appello di Napoli, in altra composizione, valuterà adesso se rivedere il “trattamento sanzionatorio” per la soldatessa. Niente da fare per il ricorso della difesa del caporalmaggiore, dichiarato “inammissibile” in quanto in appello la sua pena era stata determinata “su accordo delle parti” e ridotta rispetto agli originari 6 anni e 6 mesi di reclusione. Una decina, a vario titolo, i commilitoni implicati in questo giro di droga, tra assuntori di stupefacenti e ‘facilitatori’ nel manomettere i test delle urine e avvertire della effettuazione dei controlli. Non tutto era filato, liscio: il verdetto della Cassazione ricorda infatti che un primo tentativo di sostituire la provetta della urine ‘positiva’ con una ‘negativa’ era fallito per l’opposizione del maresciallo addetto alla infermeria. Ma poi la coppia trovo’ aiuti ‘compiacenti’ . Il processo di primo grado si è svolto presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, il secondo davanti alla Corte di Appello di Napoli che ha pronunciato sentenza di condanna il 17 febbraio 2021. I fatti sono avvenuti tra Caserta e Maddaloni nel 2013 e nel 2014.