Sostegno alle comunità locali, da Napoli al Mozambico: il racconto di Marta Micillo

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di Rosina Musella

La scorsa estate Marta Micillo, volontaria della Comunità di Sant’Egidio, dopo cinque anni di servizio, ha vissuto la sua prima esperienza di volontariato in Africa, accompagnata da altri Giovani per la Pace che hanno offerto il loro aiuto alla comunità di Matola.
La Comunità di Sant’Egidio, fondata a Roma nel 1968 e attualmente presente in più città di Italia, conta numerose sedi anche a Napoli, dove sostiene la comunità locale attraverso diverse tipologie di servizio a cui è possibile prendere parte come volontari: assistenza ai senzatetto, con la distribuzione di pasti gratuiti e il servizio delle docce presente nella sede di Gianturco; assistenza agli anziani, con cui si trascorre del tempo tra chiacchere e partite a carte; la Scuola della Pace, che accoglie bambini con particolari situazioni familiari, vittime di bullismo o razzismo. A dedicare parte del loro tempo a questi servizi ci sono anche giovani volontari, dai 14 ai 25 anni: i Giovani per la Pace. Fa parte di questi Marta Micillo, una giovane ragazza che ci ha raccontato la sua esperienza come volontaria a Napoli e in Africa.

Come hai conosciuto la Comunità?
Conobbi i Giovani della Pace quando alcuni volontari vennero nel mio liceo per raccontarci la realtà della Comunità e i vari servizi di volontariato a cui era possibile prendere parte. Tra le varie forme di volontariato che ho sperimentato, quella a cui sono rimasta più legata è la Scuola della Pace, in cui faccio servizio tutt’ora.
La cosa particolare dei servizi è l’amicizia e il dialogo che si instaura tra noi e chi assistiamo. Scuola della Pace mi occupa solo due ore di servizio il sabato, però durante la settimana c’è sempre un contatto con i bambini, li aiutiamo con i compiti, facciamo merenda insieme: il nostro obiettivo è accompagnarli nella crescita, e spesso capita che i bambini, crescendo, diventino anche loro volontari.

Perché l’Africa e cosa avete fatto arrivati lì?
La Comunità ha un legame viscerale con il Mozambico, perché ne ha mediato la pace, ottenuta dopo anni di guerra civile tra le due fazioni della Frelimo e la Renamo. Inoltre, il Mozambico è il primo Paese dove la Comunità ha attivato il progetto di sensibilizzazione per la lotta all’Hiv, Dream, attualmente presente in undici Paesi africani.
Da Napoli siamo partiti in 27: 10 andarono a Beira a costruire case, andate distrutte dopo il ciclone Idai che rase al suolo la città lo scorso anno, mentre io e gli altri 16 andammo a Matola.
Lì abbiamo svolto due servizi: il progetto ‘BRAVO!’ di registrazione anagrafica e il volontariato presso i Centro Nutrizionale, un’oasi nel centro di Matola, dove 200 bambini ogni giorno possono ricevere un pasto completo.

in foto il quartiere dell’ospedale

In cosa consiste il progetto “Bravo!”?
Ogni giorno trascrivevamo al computer i dati anagrafici dei bambini mozambicani, ricopiandoli da enormi catasti cartacei. È un lavoro laborioso, ma assolutamente necessario: l’80% dei bambini mozambicani non è registrato all’anagrafe, il che potenzialmente li espone a qualsiasi tipo di rischio, in particolar modo il rapimento per la tratta degli schiavi verso il Sud Africa e il traffico d’organi verso la Somalia. Terminato il lavoro giornaliero di trascrizione, sensibilizzavamo le mamme in giro per l’ospedale, spiegando loro l’importanza di registrare subito i bambini, poiché non è scontato che lo facciano. Inoltre, per i bambini dopo i 4 mesi la registrazione è a pagamento, ad un costo di 50 meticais, che per noi è pochissimo (equivalenti ai nostri €0.68), ma per un mozambicano rappresentano una giornata di lavoro.

in foto la fila di bambini al centro di nutrizione

Cosa ti ha lasciato quest’esperienza?
Tornata a Napoli ho capito di poter fare molto più di quanto pensavo di star già facendo. Inoltre, sono riuscita a relativizzare i miei problemi; mi sono resa conto che prima reagivo in maniera spropositata per cose assolutamente risolvibili. Sembra stupido, perché noi sappiamo che c’è la fame, che i bambini sono malnutriti, ma vederlo ti fa cambiare modo di vedere il piatto che hai a tavola ogni giorno, la fortuna di poter studiare o di poter attingere all’acqua potabile dal rubinetto di casa.

Cosa diresti a chi volesse iniziare a fare volontariato?
Consiglierei a tutti di fare quest’esperienza: all’inizio spaventa l’idea di dover creare un rapporto costante con i bambini, però il tempo che spendiamo per fare tantissime altre cose si può trovare anche per nostri amici, in questo caso i bambini della Comunità.
Parlando di me, sono grata alla Comunità e continuerò sempre a farne parte: penso non abbia senso che io mi realizzi, lasciandomi dietro tutte le persone che magari non hanno avuto le mie stesse possibilità.