Solopaca riscopre le sue uve rare: in un libro la storia di 5 anni di ricerche e studi scientifici

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in foto Angelo Caputo e Stefano Del Lungo

Cinque anni di ricerca e di studi scientifici, che hanno portato alla riscoperta di diverse cultivar di uve rare di Solopaca che sono espressione della storia vitivinicola locale,  sono stati raccolti in un  volume dal titolo “Solopaca. Viticoltura di terroir e ‘uve rare” dal Taburno Camposauro alla costa tirrenica”, curato dal professor Stefano Del Lungo.
Il volume, che si presenterà il 4 luglio prossimo a Roma presso la Sala Cavour del Ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, comprende i risultati di indagini pluriennali condotte sulla biodiversità viticola campana a Solopaca (Taburno Camposauro), nella Penisola Sorrentina e nel Golfo di Policastro. Con esso si vantano il recupero, l’approfondimento genetico-storico e la registrazione ufficiale di undici varietà (Tennecchia nera cioè Tentiglia, Tesola nera cioè Vernaccia di Vigna, Agostina bianca, Uva Urmo bianca, Cocozza bianca, Ingannapastore bianco, Castagnara nera, Suppezza nera, Sabato nero, Reginella nera, Racina piccola nera) e il riconoscimento della sinonimia Arulo, cioè Vernaccia d’Arulo, con il Grero o Greco nero di Todi.

Il lavoro, iniziato grazie a viticoltori desiderosi di ridare luce al capitale viticolo autoctono e corpo ai relativi terroir, messi a rischio dalla produzione in eccesso di altre varietà, è stato sviluppato in un progetto di ricerca del Cnr con il Crea Ve (Viticultura ed Enologia), in relazione con la Regione Campania e con l’Ais Toscana – Delegazione di Grosseto. Al centro dell’attenzione il recupero, la validazione e lo studio dei terroir campani nelle componenti pedologica, fisico-ambientale, genetico-storica (ricostruzione, tracciamento e integrazione delle genealogie dei gruppi Bombino bianco, Garganega bianco-Trebbiano toscano bianco e Aglianico nero) e agronomica-viticola. Quest’ultima ha riguardato sia varietà, che nel XIX secolo non si è esitato a definire “uve rare” per la loro qualità e bontà, sia la particolare forma di allevamento (il sistema della raggiera), riconosciuta e iscritta dalla ricerca come “Raggiera del Taburno” nel Registro Nazionale di Paesaggi Rurali Storici, Pratiche Agricole e Conoscenze Tradizionali (Rete Rurale – Masaf). Da qui prenderà avvio la sperimentazione delle uve e della raggiera, rafforzandone la conservazione assieme al paesaggio viticolo correlato e sostenendo i viticoltori nell’avvio sul mercato dei vini derivati, appartenenti alla tradizione viticola secolare dei territori coinvolti.
Si riporta così l’attenzione sulla centralità dei vitigni autoctoni, dei luoghi e dei ‘custodi’ (come definiti dalla L. 194/2015) che li hanno mantenuti assieme ai nomi in vernacolo e alle tradizioni correlate. L’intero lavoro, compiuto in una cooperazione di filiera fra privato, pubblico, associazioni e istituzioni, è in piena controtendenza rispetto alla fase presente della viticoltura italiana, nella quale si stanno rimettendo in discussione le Denominazioni di Origine nei loro stessi fondamenti (nomi, contenuti e il senso della tutela verso i territori).

Sull’onda lunga di un processo iniziato negli anni ’90 del secolo scorso, con “allargamento” delle denominazioni di origine da locali a comprensoriali e a regionali, risulta tuttora evidente come l’aumento della portata di tali denominazioni sia direttamente proporzionale al livello di “non conoscenza” delle realtà di partenza, ridotte a sotto-zone o cancellate del tutto entro la genericità di nomi di tipo geografico-storico o regionale di cui non si ha consapevolezza. In pratica, meno si conosce i territori e più si allargano le denominazioni, “annacquando” letteralmente le tipicità e preferendo invadere il mercato con quantità di vino la cui identità è stata imposta negli ultimi cinquant’anni.
La ricerca apre e individua nuove soluzioni contro questa perdita di biodiversità viticola e di identità. Le varietà, il lavoro dei viticoltori e i paesaggi viticoli sono parte integrante del Patrimonio Culturale, come sancito dalla L. 238/2016, e sono ricondotti alla sua componente ‘vivente’, materiale e immateriale. Su di essa, in una rinnovata tangibilità, si può ricostruire un’identità solida e fondare una valorizzazione in grado di aprire nuove prospettive di rilancio sui mercati.
Nessuna realtà produttiva sarà più relegata fra gli “esclusi”, perché l’identità c’è e la ricerca mette a disposizione gli strumenti per riscoprirla secondo una modalità operativa decisamente economica, nella quale tutti si è coinvolti senza nemmeno troppo sforzo, se ognuno mette del suo.
Il prodotto (cioè il vino) diventa l’atto finale della ricerca e il primo di una nuova fase, nella quale aprire nuove prospettive di recupero e di rilancio per campagne un tempo vitate e poi abbandonate. Una leva potente è data dalla conoscenza, garanzia di qualità del prodotto, e dall’orgoglio identitario. I luoghi, come i mercati e l’enoturismo, ne hanno bisogno e ne vanno alla riscoperta.

Alla presentazione del volume presso il Ministero interverranno Costanza Miliani (Direttrice ad interim Cnr Ispc), Clemente Colella (Associazione Vignaioli di Solopaca), Stefano Del Lungo (Cnr Ispc), Antonio P. Leone (Cnr Isafom), Angelo R. Caputo e Vittorio Alba (Crea Ve), Emiliano Leuti (Ais Toscana). A coordinare i lavori sarà Fosca Tortorelli.