Si muovono i grandi fondi
Food campano nel mirino

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I grandi players della finanza mondiale sono in fermento per quello che viene considerato uno dei principali business del futuro: il cibo. E le aziende della Campania, tanto i colossi quanto I grandi players della finanza mondiale sono in fermento per quello che viene considerato uno dei principali business del futuro: il cibo. E le aziende della Campania, tanto i colossi quanto quelle di medie dimensioni, cominciano a riscuotere un certo interesse al pari delle altre concorrenti nazionali. Ar e Doria nel settore conserve, Motta e Kimbo nel segmento caffé, gli Oleifici Mataluni (titolari del marchio Dante), De Matteis, Garofalo e Rummo nel comparto pasta alimentare e un elevato numero di operatori vitivinicoli, di fianco ai grandi gruppi come Feudi di San Gregorio e Mastroberardino, sono solo alcuni dei nomi di una galassia sconfinata in cui la finanza mondiale sta per pescare. Il motivo di tanto interesse lo spiega, a margine della presentazione dello studio realizzato da Icm Advisors per conto di Legalcommunity sui 50 brand italiani di maggior valore nei settori Fashion, Food, Furniture, il manager della Bank of America-Merryll Lynch, Diego Selva. “Il comparto del Food ha grossi margini di potenzialità – rivela – perché è strettamente connesso al concetto di qualità che il Made in Italy esprime e che all’estero vende benissimo. Dare un valore a questo mercato, sia a livello nazionale che regionale, al momento è difficile perché non è ancora strutturato però i margini di profitto sono consistenti”. Basti pensare che, sempre secondo i dati raccolti da Icm Advisors, il fatturato italiano del Food viaggia a ritmi di 90-100 miliardi di euro l’anno. Buffett in campo Che l’interesse sia elevato lo dimostra il fatto che su questo business sta lavorando, da qualche settimana, anche la holding Berkshire Hataway, un big player della finanza che fa capo all’economista e imprenditore Warren Buffett. La rivelazione proviene da Giovanni Tamburi, presidente di Tamburi Investment and Partners. “Ci hanno contattati di ricente – dichiara – per individuare brand italiani di eccellenza sui quali investire. È evidente che l’attenzione intorno al Made in Italy, in questa fase storica, è molto elevata”. Ma perché tanto interesse per aziende che, nonostante gli ottimi dati delle esportazioni, non hanno la dimensione delle grandi multinazionali e quindi non sono strutturate per compiere il salto di qualità? “Il punto sta proprio qui – spiega Francesco Trapani, manager del fondo Clessidra – perché i gruppi internazionali sono convinti che aiutando queste imprese a sviluppare una strategia industriale di crescita a più livelli i profitti possono essere moltiplicati a dismisura”. Quanto alle tipicità locali, e qui viene in risalto il caso Campania, secondo Michele Marocchino, manager della banca d’affari Lazard, “qualità, gusto, bellezza, luogo di produzione e capitale umano sono dei valori aggiunti fondamentali che fanno la differenza in ambito globale”. La dimensione internazionale, in sostanza, non è solo legata ai capitali ma all’organizzazione, alla capacità di penetrare un mercato sfruttandone le tipicità e adeguandosi alle richieste. Da big a colossi Quali sono le aziende che, al momento, possono rivestire un interesse maggiore per i fondi d’investimento? Nel settore conserviero Ar e Doria hanno già un profilo di alto livello ma possono crescere ancora. Ar, che nel 2012 cede il 51 per cento delle quote a Princes Food, società giapponese della galassia Mitsubishi, realizza all’estero l’80 per cento del fatturato, che si aggira sui 250 milioni di euro l’anno; La Doria, quotata alla Borsa di Milano, con la recente acquisizione di Pafial, titolare dei marchi Althea e Delfino, consolida ancora di più la propria posizione internazionale. Dall’export arriva il 73 per cento dei 600 milioni di euro di fatturato medio annuale. Nel lotto delle papabili ecco anche la salernitana Caffé Motta, quasi mezzo miliardo di fatturato e una crescita costante in ambito mondiale, e la napoletana Kimbo, fatturato a quota 200 milioni e una dimensione internazionale tutta da sviluppare. E ancora Rummo, che ha una quota di ricavi da export del 25 per cento e che nel 2012, in accordo con Sace e Credit Agricole, riceve un finanziamento di 5 milioni proprio per attuare piani di crescita a livello globale. Stesso discorso per la De Matteis Agroalimentare, che ottiene 2 milioni. Chi può ottenere un ritorno considerevole dal legame con un big della finanza sono le aziende vinicole campane, ancora poco strutturate all’estero.