Sorpresa, la pubblica amministrazione assorbe al Sud meno personale che al Nord: 530mila addetti contro 800mila pari a 26 su ogni 1.000 abitanti a fronte di 30. Niente a confronto di quello che accade al centro, sede d’istituzioni nazionali, dove gli addetti salgono a 145 su 1.000 per un totale di 1 milione 700mila.
I dati sono contenuti in una recente analisi della Svimez su dati Istat rimasta in ombra nonostante l’interesse delle sue annotazioni.
Un’altra notizia che sorprende riguarda l’andamento degli occupati nelle Regioni: negli ultimi dieci anni il Sud ne perde 4mila (meno 9,4 per cento) e il Nord ne acquista 10mila (più 28 per cento). Le Province crescono al Nord e al Sud mentre i Comuni dimagriscono del 5,1 per cento al Sud e dell’8,9 per cento al Nord.
Le anomalie rispetto al comune sentimento finiscono qui. Il no profit fa il 50 per cento in più di proseliti al Centro-Nord arrivando a coinvolgere 4,6 milioni di persone contro il 22,1 per cento del Sud dove l’esercizio di attività sussidiarie in prevalenza nei campi dell’assistenza sociale mobilita oggi 1 milione 138mila cittadini.
Disastrosa, nel Mezzogiorno, la gestione degli Sportelli Unici per le attività produttive: solo il 3 per cento degli intervistati si dice soddisfatto contro l’11 per cento del Centro, il 56 per cento del Nord-Est e il 69 per cento del Nord-Ovest. Una vera e propria debacle dei comuni meridionali che si ribalta sul funzionamento delle attività locali.
Anche la gestione della giustizia lascia a desiderare più al Sud che al Nord in un quadro in ogni caso poco edificante per l’intero Paese. Per un processo civile di primo grado ci vogliono quasi 4 anni nel Mezzogiorno (1.352 giorni) e circa 2 anni e mezzo al Centro-Nord (948 giorni). La regione più lenta è la Basilicata con 5 anni e tre mesi (1.905 giorni).
Distante anche la percezione della qualità nei servizi sanitari. Su 100 ricoverati nel Centro-Nord (anno di rilevamento 2012) il 43 per cento si dichiarava soddisfatto. La percentuale scende al 19,6 nel Meridione dove comunque si riduce, sia pure di poco, il fenomeno del turismo sanitario che passa negli ultimi dieci anni dal 10,7 al 9,4 per cento.
A favore del Nord anche il confronto sul tasso di rifiuti che vanno in discarica: il 51 per cento al Sud nel 2012 (era il 71 nel 2009) contro il 33 per cento del Centro-Nord. Anche la raccolta differenziata fa segnare un buon distacco tra le due parti del Paese con il 46 per cento di pratica al Centro-Nord e il 26 per cento al Sud.
Elettricità e acqua completano il contenuto del rapporto. Malfunzionamento e interruzioni per il 3,4 per cento della popolazione al Sud a fronte dell’1,4 per cento al Centro-Nord nel primo caso e carenze nell’erogazione per il 18,7 per cento degli utenti meridionali contro il 7 per cento di quelli del Centro-Nord nel secondo.
Dunque, ancora una volta risulta evidente che ci troviamo di fronte a due espressioni economiche e organizzative molto diverse. Il gap in termini di prodotto interno lordo e quindi di occupazione, con punte insostenibili tra le donne e i giovani, è frutto di politiche che finora hanno fallito l’obiettivo.
Nei giorni, nelle settimane e nei mesi in cui il governo si appresta a rivedere l’assetto istituzionale del Paese e il funzionamento dei suoi gangli vitali che trovano nutrimento nella pubblica amministrazione tener conto delle differenze e della necessità di appianarle diventa di fondamentale importanza.
Il malessere del Sud, che si ribalta sull’intero Paese condizionandone l’andamento generale, è certamente frutto di una cattiva gestione delle classi dominanti – aggravata da una certa rassegnazione di quelle soccombenti – ma anche di un prolungato disinteresse dello Stato centrale che ne ha per troppo tempo criminalizzato i comportamenti.
Appurato che corruzione e malaffare non si annidano solo nelle regioni meridionali ma sono un cancro nazionale che rischia (ha rischiato?) di consumare l’intera comunità politica ed economica, è tempo di ripensare ad alcune decisioni punitive come quella di destinare al Sud poco più del 24 per cento delle risorse pubbliche su una popolazione che ne pesa il 35.
Ripartire da condizioni di equità è la prima mossa da fare per restituire fiducia a chi ne chiede e pretenderne poi il rispetto. A giudicare dalle dichiarazioni rilasciate sull’argomento, di questo sembra finalmente convinto anche il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan che si appresta a prendere delicate decisioni.