Sergio Marchionne, gli Industriali di Napoli a 5 anni dalla morte: Un grande innovatore

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in foto da sinistra Raffaele De Luca Tamajo, Paolo Rebaudengo, Costanzo Jannotti Pecci, Paolo Griseri, Sebastiano Garofalo e Giovanni Sgambati

E’ un convegno che sa poco di amarcord e molto di risultati, esempi pratici e di storia industriale del Paese quello promosso dagli Industriali di Napoli e dal suo presidente Costanzo Jannotti Pecci. Al centro la figura di Sergio Marchionne, il top manager di origini abruzzesi formatosi in Ontario, Canada, che in pochi anni salvò la Fiat e contribuì al rilancio dell’Italia. Con il suo “pullover” nero, informale, vinse la retorica delle etichette e fece prevalere, su tutto e tutti, i fatti, divenendo così un’icona del pragmatismo e del saper fare le cose. Un momento di confronto tra impresa, sindacato, media sul nome e nel segno di un grande innovatore, come suggerisce il titolo stesso del convegno, a cinque anni dalla morte. A discuterne presso la sede di piazza dei Martiri dell’Unione Industriali di Napoli, oltre allo stesso Jannotti Pecci, il giornalista del quotidiano “La Stampa” Paolo Griseri; Paolo Rebaudengo, già responsabile delle Relazioni Industriali di Fiat; Raffaele De Luca Tamajo, professore emerito dell’Università degli Studi di Napoli Federico II; Sebastiano Garofalo, già Plant Manager FCA; Giovanni Sgambati, segretario generale della UIL Napoli.

in foto la platea del convegno “Sergio Marchionne, il grande innovatore”, all’Unione Industriali di Napoli

A rompere il ghiaccio è il numero uno di Palazzo Partanna, che sottolinea la coincidenza “con la morte di un altro grande innovatore, Silvio Berlusconi, entrambi avevano in comune il coraggio di compiere scelte dirompenti”, dice Costanzo Jannotti Pecci. “Forse Marchionne sapeva rischiare anche di più – aggiunge -, perché portava nelle sue decisioni il peso e la responsabilità di migliaia di persone, non rischiava soltanto per sé”. Cita l’accordo sul prestito convertendo e la mossa di quando il manager torinese sfilò 2 miliardi di dollari a General Motors, con cui salvò la Fiat e si comprò Chrysler. Per Jannotti Pecci l’eredità di Marchionne sembra come “dissolta nel tempo”. “Sono felice del nostro incontro di oggi a Napoli – rincara – anche se un’iniziativa del genere sarebbe stata più consona a Viale dell’Astronomia piuttosto che a piazza dei Martiri”. Per il leader degli industriali partenopei “un personaggio come Marchionne oggi sarebbe ancora più prezioso, visto la capacità di interpretare gli eventi in un momento in cui i tassi inflattivi erano vicino allo zero, quelli bancari quasi inesistenti e certo non c’era una guerra alle porte di casa dell’Europea. Una figura così manca, avrebbe avuto la capacità di sviluppare idee e visoni di cui si registra invece l’assenza totale. Siamo orfani di un punto di riferimento e di una guida”.  Quindi un aneddoto privato. “Ho conosciuto per una pura coincidenza Sergio Marchionne a Firenze, durante un’iniziativa dei Cavalieri del Lavoro a cui non avrebbe dovuto prender parte e dove invece, un po’ a sorpresa, scelse di esserci. Eravamo seduti allo stesso tavolo e in un’ora mi accorsi di quanto arguto fosse l’uomo, oltre che simpatico, e di come avesse fatto a conquistare in così poco tempo la fiducia della sua azienda e del popolo Fiat”.

“Il caso General Motors fu tra quelli più emblematici della gestione Marchionne”, riprende Paolo Rebaudengo, che di Fiat è stato il responsabile delle Relazioni Industriali e che conosceva molto bene il manager abruzzese. “Ricordo che mi disse che avrebbe potuto negoziare ancora, un po’ di più con gli americani, ma che non era sicuro di poter ottenere le stesse garanzie anche il giorno dopo. Questo dà la cifra della visione lungimirante di Sergio Marchionne, che studiò a fondo il dossier General Motors, come soltanto i grandi dirigenti sanno fare, e trovò le debolezze dell’accordo sfruttandole a suo favore. È tutta qui la tattica, la sua capacità negoziale, la strategia”. Di qui Rebaudengo cita gli spot su Detroit con Eminem e con Clint Eastwood (quest’ultimo proiettato anche in sala), evidenziando le doti di marketing di Marchionne. “Con Eastwood ebbero discussioni molto accese e piccate, ci fu un grande confronto, fu analizzata parola per parola. La messa in onda però poi fu un successo”. “Sembrava burbero e intransigente ma non era così. Ricordo il lancio della nuova 500 il 4 luglio 2007, un capolavoro di Marchionne e De Meo, dove ad un certo punto lui inizia a giocare con i bambini, lasciando trasparire la sua grande umanità”.

Molto presente il tema anche dell’uscita della Fiat da Confindustria. E dei motivi per cui l’azienda torinese decise di dividere il proprio destino dall’associazione. A ricordarne le ragioni il professor Raffaele De Luca Tamaio, emerito dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. “Parliamo di un uomo che ha scritto un capitolo della storia industriale del Paese e che ha espresso il suo genio in tutte le azioni messe in campo, comprese quelle nell’organizzazione del lavoro. Ho avuto modo di collaborare con lui e di apprezzarne la grande affabilità. La scelta di uscire da Federmeccanica e Confindustria nacque dall’esigenza di sterilizzare il processo produttivo che risentiva di un assenteismo anomalo e di una contrattazione collettiva che imbrigliava l’azienda. La Fiat aveva bisogno di una contrattazione sartoriale per rendere al massimo, su misura, e lui l’aveva capito. Per sua stessa ammissione, prima perdeva 5 milioni di euro al giorno”. Una rivoluzione che passò anche e soprattutto da Pomigliano. Sebastiano Garofalo, già Plant Manager FCA, ricorda di quando si chiuse la fabbrica per due mesi e della riapertura con le nuove metodologie di lavoro, la figura del team leader e tutte le innovazioni condivise con Marchionne. “Che tra i tanti meriti ha avuto anche quello di credere nel Sud, portando la Panda a Pomigliano”.

“Se mi si chiede di ricordare l’uomo, mi vengono in mente tre definizioni: umano, fortemente manifatturiero, leale”, dice nelle battute finali Giovanni Sgambati, segretario generale UIL Napoli. Che però poi stigmatizza: “Esiste uno sproporzionato potere, molto forte, dei francesi in Stellantis. Abbiamo in Italia circa un milione di lavoratori nel settore dell’automotive. Se non si costruisce un contrappeso, anche dal punto di vista decisionale, e si può fare solo essendo presenti nel cda di Stellantis, rischiamo di essere un Paese che va verso il declino nel settore”.

Prima delle conclusioni del presidente dell’Unione Industriali, le riflessioni di Paolo Griseri della Stampa. “Ho seguito per anni la Fiat, è stato il mio core business. Riconosco a Marchionne due cose in particolare: l’appiattimento della piramide aziendale, ossia l’aver ridotto al minimo la quantità di figure tra chi produce le automobili e chi prende le decisioni; la sprovincializzazione dell’Italia, farla uscire da una provincialismo consolatorio, fatto di molti luoghi comuni e poco PIL”.