Il Check-Up Mezzogiorno 2023, l’analisi congiunturale sullo stato di salute dell’economia meridionale realizzato annualmente da Confindustria e SRM (centro studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo), conferma alcuni segnali positivi e una generale tenuta delle imprese rispetto a quanto emerso nell’edizione 2022.
Infatti, la stima dell’Indice sintetico dell’economia meridionale* per il 2023, elaborata tenendo conto delle principali variabili macroeconomiche, risulta in crescita per il terzo anno consecutivo, dopo il crollo registrato nel 2020. Il valore stimato per il 2023 è pari a 534,9, ossia 8,8 punti in più rispetto al dato dell’anno precedente. Inoltre, da notare che, sulla scia di quanto emerso per il 2022, si supera il livello del 2007.
Ferme le criticità strutturali del sistema economico meridionale, l’analisi congiunturale evidenzia, dunque, una crescita dei singoli indicatori che compongono l’indice rispetto all’anno precedente.
Molto positiva la stima sul dato relativo agli investimenti al Sud, che cresce di 4 punti percentuali rispetto al 2022 e di ben 17 rispetto al 2019, a conferma di una dinamica che va però sicuramente rafforzata, attraverso adeguate politiche di sostegno all’attività di impresa. Particolarmente significativo, inoltre, il contributo dell’export, che cresce di oltre 40 punti rispetto al 2019.
Alla stima dell’indice sintetico si accompagnano le previsioni sul PIL per il 2024, che si attesta a +0,6% nel Mezzogiorno. Sulla conferma di questo dato influirà in modo considerevole l’effettiva “messa a terra” delle risorse disponibili, in primis quelle legate al PNRR.
L’occupazione nel Mezzogiorno aumenta del 4% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, con un incremento per il Sud maggiore di quello registrato in tutte le altre aree del Paese, superando i 6,3 milioni di unità. Anche l’occupazione femminile mostra segnali positivi, con un +5,7% per oltre 2,3 milioni di unità.
All’aumento degli occupati da un anno all’altro non corrisponde, però, un significativo progresso in termini assoluti di valore degli occupati. Nel terzo trimestre 2023, infatti, nel Mezzogiorno si è concentrato quasi il 27% dell’occupazione nazionale e il 23,4% di quella femminile, valori ancora troppo bassi se rapportati alla quota della popolazione che vive al Sud.
Queste dinamiche congiunturali evidenziano un Mezzogiorno resiliente alle crisi degli ultimi anni e con rilevanti potenzialità di rilancio. Le stesse dinamiche, ovviamente, non appaiono risolutive rispetto alle complessità strutturali dell’area.
Sono almeno tre i grandi fattori di sviluppo su cui il Mezzogiorno deve crescere.
Si tratta delle cosiddette “3C”: Competenze (dalla formazione all’innovazione), Connettività (attraverso adeguate infrastrutture di connessione stradale, ferroviaria, portuale e aerea, ma anche e soprattutto digitale e tecnologica) e Competitività delle imprese (anzitutto in termini di densità e intensità imprenditoriale).
È necessario, quindi, insistere sul rafforzamento dell’economia del Mezzogiorno, attraverso interventi mirati, che sostengano gli investimenti, specie per le transizioni e l’occupazione di qualità.
A tal fine, occorre una politica industriale che, sfruttando le ingenti risorse a disposizione – europee e nazionali – possa creare un ambiente favorevole alla crescita di territori e imprese del Mezzogiorno e, al contempo, ne valorizzi le potenzialità produttive.
Il Pnrr e la politica di coesione
Dei circa 14 miliardi di nuove misure e risorse aggiuntive del Piano, circa 12 sono destinati alle imprese: 6,3 miliardi per Transizione 5.0, 2,5 per filiere green e net zero technologies, 2 per i contratti di sviluppo della filiera agroalimentare, 852 milioni per i parchi agrisolari, 320 milioni per il sostegno a investimenti green e 50 milioni per le materie prime critiche.Segnali positivi di attenzione al sistema produttivo, che però dovranno essere declinati garantendo il rispetto della vocazione originaria del Piano, cioè lavorare sulla riduzione dei divari. In questo senso, sarà importante il rispetto della clausola di destinazione al Mezzogiorno del 40% delle risorse allocabili territorialmente.
Sempre sul fronte delle policy e delle risorse, importanti novità sono attese dalla nuova Zona Economica Speciale (ZES) Unica per il Mezzogiorno, che dal 1° gennaio 2024 sostituirà le otto ZES esistenti, e dalla revisione del Fondo Sviluppo e Coesione (FSC), entrambe oggetto del DL Sud.
La ZES Unica può rappresentare una grande potenzialità per il Sud, ma andrà declinata con attenzione, per non vanificarne la portata. Rendere tutto il Mezzogiorno una Zona Economica Speciale è un progetto ambizioso, che però necessita di essere sorretto da un disegno strategico di medio periodo, con una solida connotazione produttiva e industriale e che sia in grado di valorizzare le peculiarità dei territori.
Recenti misure dedicate al Sud intervengono anche sulla politica di coesione nazionale, operando delle modifiche all’operatività e alla governance del Fondo Sviluppo e Coesione, per migliorarne le performance di spesa. Sarà importante non snaturare il Fondo, preservandone le caratteristiche di addizionalità e allocazione territoriale, che destina l’80% delle risorse al Sud.
In proposito, il Check-Up contiene anche un’analisi dei livelli di spesa dei fondi di coesione, europei e nazionali, che evidenziano come le necessarie azioni di razionalizzazione nell’utilizzo delle risorse e di rafforzamento della capacità amministrativa dovranno riguardare tanto il livello regionale, quanto quello centrale.
Più in generale, è necessario che i progetti e le risorse definiti dalle modifiche al PNRR e dal DL Sud vedano ora una tempestiva attuazione che, sin dalle prime fasi, metta al centro gli investimenti delle imprese e garantisca il coinvolgimento di tutti gli attori, in primis del partenariato economico e sociale.