Se un voto si compra con 50 euro

302

Una fotografia che ritrae il voto assegnato a chi di dovere, come prova, poi l’incasso di 50 euro per il voto dato. E’ accaduto alle ultime elezioni comunali a Castellammare di Stabia. Un voto costa 50 euro. A seconda della Regione o delle condizioni dettate dai vertici della criminalità locale. In cambio di una semplice “x” che segni una preferenza. Sono le schede elettorali sporche di mafia. Pratica che ha compromesso sul territorio nazionale decine e decine di assessori, consiglieri ed ex presidenti di Regione. E che, in numerosi casi, li ha costretti a concedere favori su favori, strozzati dalla loro stessa voglia di potere. Un giro d’affari non indifferente per l’elettore: se si coinvolge anche un parente o un amico, si guadagna 20 euro a voto, arrivando a 30 euro lì dove si supera un certo numero di elettori. Arrivando a guadagnare in un solo giorno fino a 1500-2000 euro. La filosofia dell’elettore che si lascia pagare per la sua preferenza viene riassunta nel guadagno, poco importa il proprio voto. Un vero e proprio mercato del voto, ancor peggio di quello ortofrutticolo. A volte gli elettori vengono pagati con buoni pasto: un blocchetto basta per comprare i voti di un’intera famiglia. Affari di politica. Affari gestiti dalla mafia, che oggi conta su un fatturato, stando ai dati di Confesercenti che si aggira intorno ai 90 miliardi di euro, pari al 7% del Pil, riassumendo, sarebbero ben cinque manovre finanziarie del nostro paese. “Mafia s.p.a.” che vive sotto gli occhi di tutti, eppure in campagna elettorale nessuno tocca il tema. Ad oggi nessuna parte politica è riuscita a prescindere dalla relazione con il potere economico dei clan. Mettersi contro di loro significa perdere consensi e voti, ma anche scontrarsi contro un muro di difficoltà nella realizzazione delle opere pubbliche. Le mafie sono lì, intercettando i politici, si accordano e non fanno differenze di schieramenti. Hanno il potere politico tra le mani. Non c’è elezione italiana che non vinca attraverso il voto di scambio, un’arma vincente nel Sud Italia, dove la disoccupazione è alta. Un voto di scambio che risente dell’epoca e della società. In passato era più redditizio: un posto di lavoro alle poste, al ministero o negli uffici comunali, ma con gli anni il voto è stato venduto per molto meno. Bollette del telefono e della luce pagate per i due mesi precedenti alle elezioni e per il mese successivo. Nelle penultime la novità era il cellulare. Ti regalavano un telefonino modificato per fotografare la scheda in cabina senza far sentire il click. Solo i più fortunati ottenevano un lavoro a tempo determinato. Alle ultime elezioni il valore del voto è sceso a 50 euro. La disperazione del meridione che arriva a svendere il proprio voto per 50 euro sembra inversamente proporzionale alla potenza della più grande impresa italiana che lo domina. La compravendita di voti mostra una politica unanimemente disprezzata. Gli italiani la percepiscono come prosecuzione di affari privati nella sfera pubblica. Ha perso la sua naturale vocazione: creare progetti, stabilire obiettivi, risolvere concretamente i problemi. La mappa dell’Italia è costellata da scandali che ruotano attorno al voto di scambio. Da Milano a Casal di Principe, da Ventimiglia a Catanzaro, dalla provincia di Torino alla Basilicata, il Paese è una gigantesca scacchiera dove i calcoli a tavolino dei boss permettono di consegnare le chiavi dei palazzi istituzionali a “uomini fidati”. A politici conniventi che diventano così appendici delle cosche nei luoghi della democrazia del Paese. Un Paese corrotto dagli stessi politici, che aspetta la prima mossa politica affinché si affronti la questione morale all’interno dei partiti. Nessuno vincerà le elezioni finché si continuerà ad ignorare la fondamentale questione chiamata “organizzazioni criminali” o ancor di più “economia criminale”.