“Lo strumento di crescita per eccellenza in un mercato globale? E’ la formazione”. Non ha dubbi Bruno Scuotto, presidente di Fondimpresa, il più importante Fondo interprofessionale per la formazione continua in Italia costituito da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil ed aperto alle aziende di ogni dimensione e settore. “Davanti alle sfide della digitalizzazione e dell’industria 4.0 è oggi necessario trovare formule e competenze innovative senza però perdere di vista le capacità tradizionali legate al manifatturiero”, dice Scuotto. Che annuncia la nascita del “Conto Formazione Digitale”, destinato ad affiancare i tradizionali “Conto Formazione” e “Conto di Sistema” per andare incontro alle nuove esigenze delle imprese.
L’Europa è stata al centro del convegno dei Giovani di Confindustria in una fase politica che vede il valore dell’Unione rimesso in discussione da più parti. L’Europa è un vincolo o un’opportunità per il mondo produttivo?
Credo sia anacronistico anche solo pensare a un’Europa divisa in un mondo così globalizzato. Non c’è da scegliere tra opportunità o rischio in un sistema produttivo votato all’internazionalizzazione: l’Europa è la normalità da cui non si può prescindere.
Le imprese italiane, e in particolare quelle meridionali, sono attrezzate per la sfida dell’internazionalizzazione?
Il nostro sistema produttivo è più che attrezzato se riesce a far valere l’equilibrio tra la grande tradizione e l’innovazione. Anche il presidente nazionale di Confindustria, Vincenzo Boccia, più di una volta ha sottolineato come il Made in Italy sia la vera locomotiva capace di portarci fuori dalle sabbie mobili. Tra le imprese c’è una grossa voglia di innovazione, di ricerca e di formazione di nuovi profili professionali per far valere le nostre tradizioni in giro per il mondo. Si tratta di una grande potenzialità del nostro paese ancora inespressa.
Che cosa manca al Mezzogiorno per essere competitivo?
Le imprese lamentano un incredibile gap nel costo del denaro: al Sud i tassi di interesse a breve si attestano all’8,21% rispetto al 6,50% applicato nel Centro-Nord . Ma ciò che più di ogni altra cosa penalizza la competitività delle imprese è il paradosso di una dotazione infrastrutturale carente e poco strutturata in un’area “debole” del Paese che richiederebbe, invece, interventi massicci.
Quali sono invece i punti di forza?
Siamo un Paese, soprattutto al Sud, molto giovane e non abbiamo bisogno di alzare barriere per impedire ai nostri ragazzi di acquisire nuove competenze anche fuori dai confini nazionali. La fuga dei cervelli non è un male assoluto. Piuttosto dobbiamo puntare a diventare sufficientemente attrattivi da farli poi tornare in patria.
E che cosa può fare il Mezzogiorno per far rientrare i giovani cervelli?
Cancellare tutti quei freni allo sviluppo che io chiamo i “nonostante”: tempi della giustizia civile e tributaria, tempi di pagamento da parte della pubblica amministrazione, durata delle opere pubbliche, solo per citarne alcuni. Basti pensare che, secondo gli ultimi dati diffusi, al Sud occorrono 1.734 giorni per completare un procedimento di giustizia civile, 452 giorni in più rispetto al Centro-Nord. E bisogna attendere 1.822 giorni per concludere un contenzioso tributario, vale a dire 701 giorni in più rispetto al resto d’Italia. Le attese sono più lunghe anche per gli imprenditori fornitori di beni e servizi alla Pubblica amministrazione: per essere pagati devono aspettare 17 giorni in più rispetto ai loro colleghi del Centro-Nord. Tempi superiori del 9,4% rispetto al resto d’Italia sono necessari anche per ottenere un semplice servizio agli sportelli degli uffici pubblici.
Quanto pesa la formazione nella crescita di un Paese?
E’ il principale strumento di crescita. La politica attiva del lavoro per eccellenza è proprio la formazione.
Secondo lei le imprese investono a sufficienza sui giovani?
Le imprese fanno abbastanza per i giovani ma potrebbero fare di più per la formazione delle loro competenze trasversali, non quelle tecniche né quelle di base. Dovrebbero dedicare maggiore attenzione a far aumentare il senso di squadra, di appartenenza.
Industria 4.0: le aziende italiane stanno scommettendo sulla formazione di nuove competenze digitali?
Si tratta di uno scenario di grandissima attenzione: le imprese formano, investono e richiedono competenze 4.0 in maniera diffusa. Ma attenzione: si tratta solo della metà delle figure professionali di difficile reperimento sul mercato. L’altra metà è caratterizzata da figure tradizionali, tipiche della “old economy”: dagli elettricisti ai saldatori. Competenze accantonate per un errore culturale dalle famiglie che non comprendono quanto ancora siano ricercate (e tra l’altro ben pagate) certe professionalità.
Che cosa sta facendo Fondimpresa sul fronte della formazione 4.0?
Una delle sfide che sta affrontando Fondimpresa è quella di digitalizzare i processi di apprendimento. Stiamo immaginando un fondo apposito per la formazione digitale e siamo già in contatto con l’Anpal: ai tradizionali “Conto Formazione” e “Conto di Sistema” si affiancherà, dunque, un “Conto Formazione Digitale” cui le aziende potranno destinare le risorse necessarie.