Grazie alle nanotecnologie, è possibile incidere le impronte digitali alla nanoscala. Le caratteristiche morfologiche di queste impronte digitali, codificabili anche in matrici binarie simili ai QR-Code, sono non clonabili e possono essere utilizzate come identificativi univoci su una vasta gamma di materiali, oggetti e/o prodotti. Questi, in estrema sintesi, i risultati di uno studio condotto da un gruppo di ricercatori e ricercatrici dell’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRiM) e del Politecnico di Torino, segna un passo in avanti in questa direzione. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature Communications. Le impronte digitali, grazie alla loro unicita’ (non si conoscono attualmente due individui aventi le stesse impronte digitali), sono utilizzate per l’identificazione personale e per autenticare transazioni commerciali sin dall’antico regno di Hammurabi, nell’antica Babilonia (1955-1913 a.C.). Nel corso dei secoli, le impronte digitali sono state utilizzate sia per l’identificazione di un individuo (determinare l’identita’ di una persona), sia per comprovare la sua autenticazione (verificare se la persona e’ effettivamente chi afferma di essere). Al giorno d’oggi, la loro utilita’ e’ parte integrante della vita quotidiana: vengono infatti comunemente utilizzate per accedere agli smartphone o al PC con un semplice tocco. In un contesto globale nel quale la contraffazione ha enormi implicazioni economiche e può compromettere la sicurezza, lo sviluppo di impronte digitali artificiali, non clonabili, rappresenta un passo avanti cruciale. Queste impronte, applicabili a una vasta gamma di prodotti e oggetti, possono rivoluzionare le tecniche di anticontraffazione, rendendole sempre piu’ sicure ed efficaci. Nel nuovo studio, imitando il processo di formazione delle nostre impronte digitali, i ricercatori e le ricercatrici hanno mostrato come sia possibile ottenere impronte digitali artificiali alla nanoscala grazie all’auto assemblaggio di materiali polimerici, dove l’unicita’ e’ garantita dalla aleatorieta’ intrinseca del processo stesso. “Abbiamo dimostrato come le impronte digitali artificiali, oltre ad essere altamente stabili nel tempo, siano anche molto resistenti ad alte e bassissime temperature – commentano Chiara Magosso e Irdi Murataj, rispettivamente dottoranda del Politecnico di Torino e ricercatore dell’INRiM – aprendo dunque la possibilita’ di utilizzo di tale tecnologia per numerose applicazioni”. Concludono Gianluca Milano e Federico Ferrarese Lupi, ricercatori dell’INRiM: “Tali impronte digitali artificiali in miniatura abbinate allo sviluppo di algoritmi di riconoscimento immagini aprono nuovi scenari per lo sviluppo di tecniche di anticontraffazione sempre piu’ sicure che sfruttano l’intrinseca stocasticita’ dei processi di autoassemblaggio di materiali alla nanoscala”.