Si chiamano Ambra1 e Loricrina e sono i due biomarcatori su cui si concentra uno studio finanziato da Fondazione Humanitas per la Ricerca, che potrebbero risultare predettivi di elevato rischio in specifici sottogruppi. I risultati potrebbero confermarne l’efficacia predittiva per forme di melanoma ad alto rischio in pazienti con malattia iniziale. Se ne e’ discusso in occasione di un webinar organizzato da Fondazione Humanitas per la Ricerca ed Acqua dell’Elba. L’evento e’ stata l’occasione anche per sensibilizzare sui buoni comportamenti di attenzione alla pelle, specificatamente dall’attacco dei raggi ultravioletti, attivi non solo sotto il sole, ma tutto l’anno. “La prognosi e la sopravvivenza del melanoma maligno – spiega Renato Parente, responsabile di Anatomia Patologica dell’ospedale Humanitas Gradenigo di Torino – dipendono fortemente dalla diagnosi precoce e dal trattamento”. “Attualmente per i melanomi in stadio iniziale (Stadio 1) – aggiunge – i criteri prognostici e predittivi proposti dall’American Joint Committee on Cancer (AJCC), basati sulla caratterizzazione istologica del tumore attraverso l’individuazione del suo spessore e del grado di ulcerazione, non forniscono un’analisi completa, non consentono cioe’ di valutare pienamente il rischio di progressione della malattia che si verifica fino al 15% di melanomi ad apparente bassa malignita’. Grazie ai finanziamenti di Fondazione Humanitas per la Ricerca, abbiamo avviato uno studio che potrebbe confermare l’affidabilità di due biomarcatori, chiamati Ambra1 e Loricrina, che consentirebbe di sottocategorizzare il melanoma ad alto rischio in pazienti con malattia a uno stadio iniziale”.
La diagnosi precoce e’ di fondamentale importanza, sia in fase di diagnosi sia per la scelta dei trattamenti terapeutici piu’ indicati: per i pazienti potrebbe significare ricevere follow-up piu’ adeguati e terapie piu’ personalizzate, anche in fase cautelativa. “Ci auguriamo che i risultati che otterremo dall’analisi dei due biomarcatori Ambra1 e Loricrina svolta su 140 campioni di pazienti – prosegue Parente – possano rappresentare una svolta per una piu’ precisa stadiazione del melanoma e nell’individuazione precoce di soggetti piu’ a rischio, al fine di migliorare non solo l’esito clinico del tumore ma anche di prevenire la progressione della malattia“. In attesa dei risultati della scienza e’ fondamentale adottare delle ‘best pratice’ nell’uso dei solari: “Specialmente con l’arrivo della bella stagione, ma anche durante tutto l’anno – raccomanda Michele Tiano, dermatologo presso Humanitas – la protezione solare non deve mai mancare, in borsa, zaino o valigia. Una buona protezione dai raggi solari aiuta, infatti, a rallentare i meccanismi di invecchiamento della pelle e a prevenire tumori cutanei, alcuni anche molto aggressivi, come il melanoma. Le creme solari si distinguono innanzitutto per i filtri contenuti: filtri chimici o fisici. I primi ‘assorbono’ le radiazioni UV convertendole in calore, mentre i filtri fisici agiscono come una barriera, riflettendo le radiazioni ultraviolette. Il fattore di protezione solare (SPF) difende dai raggi UVB ed ha un’indicazione numerica da 6 a 50+, a seconda della capacità di proteggere dai raggi ultravioletti. E’ raccomandato un fattore di protezione non inferiore a 30. La protezione 50+ e’ indicata invece per prevenire le forme tumorali in persone con pelle chiara o che svolgono attivita’ invernali ad elevate altitudini”. E in termine di quantita’? E’ fondamentale applicare una adeguata quantita’ di crema, circa 2 milligrammi per centimetro quadrato di pelle, 45 minuti prima dell’esposizione al sole e poi riapplicarla ogni due ore: sudorazione, bagni e attivita’ sportiva possono ridurre l’efficacia della protezione. Non ultimo e’ bene evitare l’uso di creme solari aperte da più di 12 mesi o scaduti, poiché la loro efficacia diminuisce nel tempo.